l’arte contemporanea non si risolve necessariamente in istallazioni pseudo-concettuali e dalla dubbia estetica, o in performance sulla stessa linea d’onda. Per buona sorte, anche il figurativo sta ritornando all’attenzione delle rassegne e delle gallerie d’arte, come si è visto appena l’anno scorso ad Altissima a Torino o alla Biennale di Firenze, che in antitesi rispetto a Venezia, hanno lasciato ampio spazio agli artisti di figura, attenti alla rappresentazione della realtà circostante, senza perdersi in macchinose perifrasi di tecniche e stili.
Un’attenzione che a Firenze trova seguito allo Studio Marcello Tommasi di Via della Pergola, dove dal 29 marzo al 26 aprile è possibile visitare l’interessante mostra Roberto Ferri e l’eternità della pittura, curata da Francesca Sacchi Tommasi. Condensata in appena sedici opere, esposte nel suggestivo ambiente dal classico stile toscano di Via della Pergola, la mostre recupera quella tradizione figurativa, caposaldo dell’arte italiana, riletta però attraverso stilemi e interpretazioni contemporanee.
Roberto Ferri si fa conoscere dal grande pubblico grazie ai dipinti delle quattordici stazioni della Via Crucis, commissionatigli per la restaurata cattedrale di Noto, ed esposti l’anno successivo a Palazzo Grimani a Venezia.
A Firenze, è in mostra una selezione di suoi dipinti che richiamano le drammatiche atmosfere caravaggesche, cui aggiunge una non comune tensione erotica, al limite della perversione, allo scopo di creare nell’osservatore una sensazione di stupore e meraviglia. Più o meno consapevolmente, l’arte insegue il sentire della società contemporanea, e una società quotidianamente sommersa d’immagini, per prestare attenzione a qualcuno di esse, necessita di essere profondamente colpita. Cosa che accade con le tele di Ferri, dove il sadismo alla De Sade si amalgama al misticismo secentesco.
Lo si evince da tele quali Dall’Inferno, o Nel sangue, nell’anima, dove la nudità dei corpi è pretesto per metaforizzare un malessere esistenziale che, se il Seicento cominciava appena a scoprire, nel 2014 è cosa ben nota. Per cui, pur rifacendosi stilisticamente a un uso della luce di scuola caravaggesca, o nell’anatomia dei corpi degna di Michelangelo, la contemporaneità di Ferri si sublima nelle espressioni dei volti gravidi di sofferente lussuria. Un richiamo di natura estetica e concettuale al sentire della nostra società, della quale sono puntuale espressione i corpi feriti, deturpati, corrosi, a eterna memoria della precarietà dell’esistenza.
Il grande serraglio erotico-mistico di Ferri si presenta come una sorta di ultimo baccanale prima della decomposizione, un’estrema danza macabra che si sublima nella perfetta bellezza dei corpi, femminili in particolare, che divengono scrigni del piacere nei quali dimenticare per un attimo sé stessi.
Intervenuto alla presentazione della mostra, il professor Vittorio Sgarbi la definisce come un’altra importante tappa di quel percorso di recupero del figurativo che vide gli albori nel lontano 1949, con la collettiva I pittori moderni della realtà, che annoverava artisti quali Giovanni Acci, Ottone Rosai, Carlo Guarienti, Pietro Annigoni. Un percorso che poco dopo s’interruppe, soffocato dalle avanguardie degli anni Sessanta e Settanta, e ripreso soltanto all’inizio del decennio successivo, quando Balthus, sensibile al Quattrocento fiorentino, fu protagonista alla Biennale di Venezia.
Da allora, seppur a piccoli passi, il figurativo ha ripreso il suo spazio nella considerazione della critica e del mercato dell’arte, contribuendo alla rivalutazione di quest’ultimo, troppo spesso ostaggio di equivoci personaggi che confondono l’arte con un palcoscenico per consacrazioni personali, scadendo però in arlecchinate da Strapaese delle quali i pochi intellettuali rimasti inorridiscono.
La mostra è visitabile, a ingresso libero, dal martedì al sabato, in orario 15-20.
Nella foto: Roberto Ferri, Il peccato originale