'La Buona Novella', Neri Marcorè in Toscana

Al Teatro Era e alla Pergola

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
17 febbraio 2024 07:42
'La Buona Novella', Neri Marcorè in Toscana
Ph Tommaso Le Pera

Dopo il successo di Quello che non ho, Neri Marcorè e il drammaturgo e regista Giorgio Gallione rinnovano il loro sodalizio artistico nel nome di Fabrizio De André portando in scena il suo primo concept album, La Buona Novella. Già tutto esaurito al Teatro Era di Pontedera il 17 e 18 febbraio, posti in rapido esaurimento anche al Teatro della Pergola, dove sarà in scena dal 20 al 25 febbraio.

La Buona Novella è uno spettacolo pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di Fabrizio de André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato: dal protovangelo di Giacomo al Vangelo dell’Infanzia Armeno a frammenti dello Pseudo-Matteo. Prosa e musica, perciò, montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco del 1970. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria.

Di taglio esplicitamente teatrale, costruita quasi nella forma di un’Opera da camera, La Buona Novella è il primo concept album di De André, con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo. Ed è proprio da questa base che prende le mosse la versione teatrale.

«Compito di un artista credo sia quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo, usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone». Questa dichiarazione di De André è emblematica di come l’autore si sia posto, in tempi di piena rivolta studentesca, nei confronti di un tema così delicato e dibattuto dal punto di vista politico e spirituale.

Con La Buona Novella De André lavora certo a un’umanizzazione dei personaggi, ma questa traduzione cantata dai temi dei Vangeli apocrifi è fatta con grande rispetto etico e religioso. La valenza “rivoluzionaria” della riscrittura sta più nella decisione di un laico di affrontare un tema così anomalo per quei tempi che nei contenuti o nel taglio ideologico. Solo a tratti, nel racconto, appare l’attualizzazione; più spesso le ricche e variegate suggestioni immaginifiche, fantastiche e simboliche dei Vangeli apocrifi sono ricondotte a una purezza quasi canonica, e talvolta traspare la sensazione che esista, anche per l’autore, la sconvolgente possibilità che in Gesù umanità e divinità abbiano convissuto.

Traspare, così, un percorso parallelo nell’interpretazione di De André: da una parte, un’innata tendenza a mettere in discussione tutto ciò che appare codificato, dogmatico o tradizionale; dall’altra parte, una sensibilità che gli fa preferire, tra le molte versioni dei Vangeli apocrifi, sempre la scelta più nobile, matura e ricca umanamente, alla ricerca di un racconto forse meno sacro, ma sempre profondamente morale.

La drammaturgia aggiunta, recitata in gran parte da Neri Marcorè, racconta l’antefatto de L’infanzia di Maria, svelandone la nascita ‘miracolosa’, e riempie il vuoto che va dall’infanzia del Cristo alla Crocifissione. Così, 30 anni di vita di Gesù sono sintetizzati in un lungo racconto che ci svela un Cristo bambino anche stizzoso, impulsivo, che si serve dei suoi poteri talvolta per esibizionismo, sia quando accusato resuscita, per poi far tornar morto, un bimbo caduto da una terrazza per farlo testimoniare a sua discolpa, sia quando, in un passo di grande qualità poetica, guida i suoi compagni di gioco in una visionaria cavalcata sui raggi del Sole.

Un’elaborazione drammaturgica, perciò, che in qualche modo completa il racconto di De André, trasformando La Buona Novella non solo in un concerto, ma in uno spettacolo originale, recitato, agito e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che penseranno l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore.

Racconta Neri Marcorè: «Quando avevo più o meno 13 anni, una mia zia molto appassionata di Fabrizio De André mi regalò il vinile de La Buona Novella. Confesso che, dopo averlo ascoltato un paio di volte, finì nelle retrovie, perché a quel tempo non fui conquistato né dalla musica né dai testi che componevano quello che può essere considerato uno dei primi, se non addirittura il primo, concept album della discografia italiana. Forse non era l’approccio più indicato, soprattutto a quell’età, per iniziare a scalare metaforicamente quella montagna che Faber, come lo chiamava il suo amico Villaggio, rappresenta ancora oggi.

Tempo dopo cominciai ad apprezzare le sue canzoni grazie al doppio live suonato con la PFM (al primo ascolto di un pezzo mi colpisce sempre più l’arrangiamento musicale, tra armonia e melodia; solo in un secondo momento pongo attenzione al testo) e da lì mi venne naturale esplorare la sua produzione fino ad allora e continuare a seguirlo nei dischi successivi, appassionandomi al suo sguardo originale sul mondo, alla cura delle parole, a quella voce profonda al cui registro, col passare degli anni, ho finito curiosamente per aderire. Al punto che circa dieci anni fa ho cominciato a eseguire parte del suo repertorio in concerti dal vivo, con la difficoltà di dover limitare la scaletta a una ventina di pezzi.

Con Giorgio Gallione, il regista al quale sono legato da una collaborazione ormai ventennale, dopo aver messo in scena Gaber e molti altri autori, decidemmo di intrecciare le canzoni e le riflessioni di De André con le invettive e il pensiero di Pasolini nello spettacolo Quello che non ho. L’impatto fu folgorante, tant’è che il cerchio immaginario non poteva che essere chiuso con una rappresentazione su De André o, per meglio dire, attraverso De André».

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