Dopo essere stata inaugurata nello scorso novembre, da oggi, “Imperatrici, Matrone, Liberte”, la mostra archeologica sulla figura ed il ruolo della donna nell’antica Roma, curata da Novella Lapini, è visibile gratuitamente sul sito www.uffizi.it/mostre-virtuali/imperatrici-matrone-liberte.
Sono esposte una trentina di opere, tra busti celebrativi, are funerarie ed iscrizioni su carta, ma a farla da padrone è, ovviamente, la Donna, fotografata nel marmo.
Nella prima sala ci accoglie lo sguardo severo e pensieroso di Agrippina Maggiore, dal sorriso appena accennato e la chioma leggermente ondulata.
Approfondimenti
Al suo lato risalta la figlia Agrippina Minore, indimenticata madre di Nerone, dai tratti minuti ed i ricci ben ordinati, in una raffigurazione risalente agli anni del matrimonio con l’Imperatore Claudio, tra il 49 ed il 54 D.C.
La Matrona Antonia Minore, sorella di Augusto, è raffigurata come in un ritratto ufficiale, con tanto di capigliatura raccolta in un elegante chignon.
Vibia Sabina, moglie dell’Imperatore Adriano, è il trionfo dell’eterna giovinezza, plastica rappresentazione iconografica della donna ideale, quasi creatura divina.
L’imperatrice Domizia Longina, chiacchierata sposa di Domiziano, è facilmente riconoscibile per i suoi occhi a mandorla, il naso aquilino e la bocca carnosa, con una sublime acconciatura a nido d’ape.
Nella sala successiva, colpiscono le raffigurazioni dell’Imperatore Antonino Pio, unico uomo, e della moglie Faustina Maggiore; l’uno avvolto nella sua folta barba, con lo sguardo meditabondo e malinconico, l’altra, estremamente raffinata con i capelli raccolti a turbante.
Numerose anche le Are funebri, tra cui spicca quella in onore di Giunia Procula, di cui è rappresentato il giovanissimo volto, e che sul retro riporta una vera e propria invettiva del padre Eufrosino contro la moglie fedifraga.
“Quanto è scritto valga a perenne infamia della liberta Atte, avvelenatrice ed ingannatrice perfida e senza cuore: dei chiodi e una fune di sparto le leghino il collo e pece bollente le bruci il petto malvagio. Fu manomessa gratis e se ne andò con l'amante; raggirò il padrone e mentre questi giaceva a letto, malato, gli portò via l'ancella e il giovane schiavo che l'assistevano, tanto da far perder d’animo il vecchiorimasto solo, abbandonato e derubato. La medesima infamia ricada anche su Imno e su coloro che hanno seguito Zosimo”.
Una palese dimostrazione di come la cultura del “revenge post” e del femminicidio si annidi nei nostri più atavici e ancestrali archetipi, da cui urge liberarsi definitivamente al più presto.