Giovanni da Verrazzano: il navigatore venuto dal Chianti

L’epopea rinascimentale dell’esploratore gentiluomo nell’ultimo libro del giornalista Marco Hagge

Nicola
Nicola Novelli
07 gennaio 2024 19:16
Giovanni da Verrazzano: il navigatore venuto dal Chianti

FIRENZE- Nel 2024 ricorre il Cinquecentenario dei viaggi Giovanni da Verrazzano nel Nuovo Mondo, che dei grandi navigatori italiani è forse quello meno noto, probabilmente soltanto per il tragico destino che lo vide ucciso e divorato da cannibali delle Bahamas nel 1528, nel suo terzo viaggio oltreoceano.

L'evenienza di cadere vittima dei nativi, se non delle tempeste marine era elevata all’epoca delle prime traversate pionieristiche e rimase almeno sino alla seconda metà dell’800 una possibilità da mettere in conto per tutti coloro che decidevano di solcare l’Atlantico. E’ difficile oggi immaginare appieno il coraggio che animò quegli uomini nell’intraprendere sfide titaniche verso un mondo ignoto. Soltanto le prime imprese astronautiche sono paragonabili per complessità tecnica e rischio.

Da Verrazzano è ricordato principalmente per il viaggio che 500 anni fa lo portò ad esplorare le coste orientali degli attuali Stati Uniti d’America sino alla baia di New York. A lui è dedicato il libro firmato dal giornalista Marco Hagge e intitolato Giovanni da Verrazzano, Navigatore e gentiluomo (per Mauro Pagliai editore pp. 176, € 16, con illustrazioni di Bruno Solís).

Approfondimenti

Hagge, laureato in Lettere alla Scuola Normale superiore di Pisa, ha lavorato alla RAI per oltre quarant'anni, occupandosi prevalentemente di beni culturali ed ambiente e curando 22 edizioni della rubrica «Bellitalia». È stato sindaco di Greve in Chianti dal 2004 al 2009. Al suo illustre concittadino dedica un volume importante nella rivalutazione del ruolo della Toscana nell’epopea del Nuovo Mondo.

Da Verrazzano non ha avuto sempre il riconoscimento che merita. Per lungo tempo Henry Hudson è stato celebrato come primo esploratore della baia omonima, dove arrivò però solo nel 1609. Il fiume che attraversa New York fu avvistato per primo da Verrazzano, che ne diede anche l'ubicazione cartografica. Fu solo negli anni sessanta del secolo scorso che all'esploratore toscano le autorità di Manhattan decisero di dedicare il Verrazzano bridge.

Nonostante da Verrazzano abbia lasciato una descrizione dettagliata dei suoi viaggi nel Nord America non ha goduto della popolarità di Amerigo Vespucci, forse a causa della morte prematura, che non gli consentì di raccogliere la gloria letteraria del navigatore fiorentino, autore delle cronache dal Nuovo mondo, uno dei primi best-seller della moderna letteratura europea.

Umanista, uomo di scienza come d’azione, da Verrazzano è l’esempio classico di quei navigatori senza mare, i tanti toscani protagonisti di imprese transoceaniche, non facili da comprendere. Specie al termine della ottocentesca diatriba sulla primogenitura della conquista tra le città di Firenze e Genova, in cui ha prevalso il più credibilmente marittimo Colombo.

Il libro di Marco Hagge si inserisce dunque nel solco di questa rivalutazione di Firenze (e dintorni) quale fulcro di un interesse scientifico e pure commerciale verso nuove vie di comunicazione con le Indie, dopo la caduta di Costantinopoli. Come Vespucci, da Verrazzano è un rampollo di buona famiglia, erudito di scienze e geografica, appassionato di cartografia, di cui la signoria fiorentina era grande mecenate.

Come Vespucci trova nel banchiere Giannozzo Berardi, finanziatore delle esplorazioni di Colombo, il pigmalione che lo trasforma da ragazzo di bottega nel futuro piloto mayor della Casa de Contratación di Siviglia, così il trasferimento di da Verrazzano in Normandia gli consentirà di essere inviato dal re di Francia Francesco I ad esplorare il Nord del nuovo continente per cercare una rotta verso l'Oceano Pacifico.

I due navigatori fiorentini, probabilmente, non sono stati i primi europei a giungere sulle coste americane, come sarebbe testimoniato dal sito archeologico dell'Anse aux Meadows, che contiene i resti di un villaggio vichingo. Quel che conta è che, in compagnia di un pugno di indomiti pionieri, a differenza dei loro predecessori, riuscirono per primi a stabilire una relazione permanente con il Nuovo mondo, grazie proprio alla sapienza scientifica e tecnologica che li accompagnava nelle loro esplorazioni. In questo senso esprimono l’essenza del Rinascimento fiorentino, generando uno dei maggiori lasciti di quell’epoca straordinaria di cui l’intera umanità riconosce il merito per antonomasia alla Toscana.

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