Università di Firenze: il paleontologo Rook nel gruppo di ricerca sull'Homo di Dmanisi, la scoperta pubblicata su Nature

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 settembre 2007 19:25
Università di Firenze: il paleontologo Rook nel gruppo di ricerca sull'Homo di Dmanisi, la scoperta pubblicata su Nature

(Firenze, 19 settembre 2007) Nuovi tasselli sui modi e i tempi dell’evoluzione umana emergono da Dmanisi (Georgia): qui da anni si studiano i resti dei nostri antenati, che per primi sono usciti dal continente africano e hanno colonizzato il continente eurasiatico. Grazie agli studi condotti in questo sito, datato circa 1,8 milioni di anni fa, sui resti umani e sul contesto ambientale sono a disposizione adesso informazioni ulteriori su un ominide che risulta caratterizzato da arti inferiori di tipo moderno e da quoziente di encefalizzazione, aspetto corporeo e molte morfologie delle specie più arcaiche di Homo erectus.
Le nuove evidenze sono documentate in un articolo in uscita domani, giovedì 20 settembre, sulla prestigiosa rivista scientifica Nature che riporta il lavoro di un gruppo internazionale di studiosi del quale fa parte Lorenzo Rook, associato di Paleontologia all’Università di Firenze, già autore di importanti ritrovamenti nel sito archeologico negli anni scorsi.

Rook coordina gli studi condotti da ricercatori italiani relativi alla ricostruzione del contesto paleoecologico e paleoclimatico e degli specifici aspetti tecnici relativi alle analisi dell’industria litica del sito. Il gruppo di ricerca internazionale che lavora a Dmanisi ha base presso il Museo nazionale della Georgia ed è composto, oltre che dal team italiano, da ricercatori di istituzioni europee (delle Università di Zurigo, di Tarragona e Barcellona, e del Senckenberg Institut di Weimar) e statunitensi (Washington University di St.

Louis, Harvard University, North Texas University, University of Minnesota).
A Dmanisi, uno dei siti paleoantropologici più importanti di Eurasia e Africa, negli anni scorsi sono già stati ritrovati resti craniali, ma i ricercatori oltre ai dettagli sull’anatomia degli ominidi presentano ora ulteriori dati sul contesto cronologico e stratigrafico, sull’ambiente, la fauna e la formazione dei fossili che portano a riconsiderare alcune ipotesi nella ricostruzione della storia del genere Homo.
L'anatomia degli arti superiori e inferiori degli ominidi di Dmanisi mostrano un mosaico di caratteri primitivi uniti ad aspetti moderni.

Gli aspetti di modernità sono localizzati soprattutto nelle morfologie degli arti inferiori: gli uomini di Dmanisi avevano infatti capacità biomeccaniche essenzialmente moderne, soprattutto per quel che riguarda l'efficienza nella corsa o negli spostamenti su lunghe distanze. Affiancati a questi elementi di estrema modernità gli arti superiori mostrano invece morfologie ancora molto simili alla specie ancestrale Homo habilis o addirittura alle australopitecine (le forme di ominidi diretti antenati del genere Homo), così come le piccole dimensioni corporee e il basso quoziente di encefalizzazione (rapporto tra capacità craniche e dimensioni corporee).
“Dmanisi ancora non finisce di stupirci.

Dalla pubblicazione relativa alla prima mandibola umana, avvenuta nel 1991, i nuovi resti che negli anni sono stati recuperati continuano a fornirci nuovi dati sulla storia evolutiva di questa antica umanità - afferma il prof. Lorenzo Rook, che dal 2000 partecipa attivamente alle ricerche sul campo in Georgia - Il pregio maggiore di Dmanisi sta proprio nella ricchezza in resti fossili umani. Un caso quasi unico, che permette di osservare i fossili nella loro variabilità, elemento cruciale per la comprensione delle dinamiche evolutive della specie”.

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