Quelli che... il Calcio, quelli... del campello
A Marina di Campo negli anni della rinascita post-guerra

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 settembre 2005 19:29
Quelli che... il Calcio, quelli... del campello<BR>A Marina di Campo  negli anni della rinascita post-guerra

Che anni incredibili furono gli anni ’50! Creativi e imprevedibili per noi giovani. Si viveva nel clima del dopoguerra. La gioventù partecipava alla vita del paese, in continuo divenire, fatta di rapporti semplici. I giovani, si arrabattavano, divertendosi. A Campo, come un po’ ovunque all’Isola d’Elba, si stava vivendo nel disagio economico-sociale e nell’incertezza del futuro. Con la disperazione cominciava l’emigrazione in tutta l’Elba. Nello stesso tempo continuava lentamente l’immigrazione.

La chiesetta dedicata a San Gaetano, con don Zanotti prima e don Aldo dopo, era il riferimento per pescatori, marinai con i loro bastimenti e contadini che si avvicinavano alla marina. I primi giornali e le prime radio aprirono il cuore e illuminarono lo spirito. Pochissime erano le automobili e diffuse le biciclette. Non c’erano ancora gli elettrodomestici. Nel porto ormeggiavano i bastimenti che trasportavano botti di vino e barre di granito. Dovevano ancora arrivare i moderni yacht, motoscafi e panfili.

Erano anni duri per i giovani. I giovanotti come Pasqualino Esercitato, Franco Gimelli, Vittorio Ricci, Alberto Matteoni e Giorgio Mattera, cominciavano, ognuno a proprio modo, ad affrontare seriamente la vita impegnandosi nel lavoro o in studi religiosi. Le difficoltà apparivano insuperabili in tutto il Comune. Ovunque si aveva una grande voglia di rinascere con una grande fiducia nel domani. Alcuni cominciarono a navigare sui bastimenti o sulle barche da pesca, altri a lavorare nelle campagne o nelle cave di granito.

Altri ancora, supportati dalle famiglie, si dedicarono allo studio. Io ero un ragazzo e cominciavo ad aprire gli occhi sulla vita.
I giovanotti frequentavano i locali del tempo come il “Circolino Quadrato” gestito da Antonio Ricci detto il Dottorino, la cantina di Antonietta la pozzuolana conosciuta come Montecatini, il bar da Elio, il bar dell’albergo Miramare, il bar-trattoria La Serenella, poi sul porto, il bar da Mario. Il cinema del paese dava spesso film italiani, d’avventura o d’amore.

I ragazzi giocavano a “guardie e ladri”, “ruba bandiera”, a “scaricabarile” o si impegnavano in altri giochi semplici. Per gli amanti del mare c’erano le grandi nuotate nel golfo di Campo e talvolta la pesca. Si andava a totanare allo scoglietto e a pescare a bollettino alla grotta del vescovo. Infine c’era il Capriccio che aveva aperto la nuova attività balneare, proprio sulla spiaggia. Qui i ragazzi giocavano a Ping Pong e a Calciobalilla mentre i giovanotti ci andavano a ballare con le ragazze.

C’era quella dei Soria di Sant’Ilario e poi “Vallechiara” con il cantante Galletti. C’erano le cabine padronali della buona borghesia, in legno, lungo la spiaggia. Si vedevano i primi turisti.
Il sogno più grande per molti di noi, giovani e meno giovani, era l’America. Si capiva il particolare momento che Campo stava vivendo e si sentiva il risveglio nell’aria. Soprattutto noi giovani eravamo attenti alle novità. Si volevano veder film americani, si leggevano giornaletti di Tex Willer che parlavano di caw-boy, si cantavano canzoni americane, si masticava la cingomma.
Era il risveglio della primavera, affascinati dalla vita, dopo il buio inverno della guerra.
Nell’atmosfera inebriante di quegli anni vivevo spesso sulle ali della fantasia ma partecipavo anche alla vita reale.

Mio padre, nel periodo estivo portava me e mio fratello Mario a pescare con la Grazia, peschereccio di famiglia. Potevo vivere e lavorare sulla barca come gli altri pescatori e mi sentivo già un uomo come loro. Ogni due o tre mesi mi tagliavo i capelli andando in una delle due barberie esistenti: da Giulio, quando volevo ascoltare le discussioni di sport e dai fratelli Nesi quando desideravo ascoltare le piacevoli osservazioni sulle donne e sulla moda. A casa, durante il pranzo, avvenivano vivaci discussioni sportive fra me e mio fratello: io ero tifoso del Torino e lui della Juventus, a me piaceva Bartali e a lui Coppi.

Come altri ragazzi, terminate le elementari, ero impegnato negli studi. Con alcuni amici, frequentavo la scuola a Campo. Con me c’erano Renzo e Giancarlo Mazzarri, Alessandro Giffoni, Giancarlo Savigni, Sergio Fatarella, Alberto Gentini detto il Conte, Bruno Campatelli e Oddone Segnini. Altri andavano a studiare a Portoferraio con la corriera e ritornavano ogni giorno: Maestrini e Biisecchi erano gli autisti. Altri ancora andavano a studiare a Livorno ritornando a Campo per le feste. Soprattutto in estate ma anche per Natale e Pasqua incontravo gli amici Giampaolo Mattera, Claudio Baldetti con i fratelli Luigi e Antonio, Pietro Spinetti e il fratello Paolo, Piero Esercitato, Aldo Colombi e Cesare Ditel.

Altri ancora, come Eugenio Spinetti, Ernesto Ferraro, Giorgio Bancalà e quindi i fratelli Adalberto e Fernando Bonempelli, proseguirono gli studi in continente. Piero e Paolo Danesi, figli di Tagliola, si spostarono con la famiglia in Lombardia dove continuarono gli studi.
Alcune famiglie, per difficoltà, non mandarono i loro figli a scuola dopo le elementari. Alcuni figli di pescatori come Piero Greco, Peppino Sandolo e Elio Vitiello come pure Elia e Fiora Sandolo dovettero fermarsi. Anche molti figli di contadini e di artigiani non poterono proseguire negli studi, dovendo lavorare.

Antonio Battaglini, Giorgio Spinetti, Vincenzo e Agostino Dini detto Pipi, Lenzi Marcello detto Sciupalegno presero altre vie. Quasi tutte le ragazze di quel tempo non proseguirono negli studi superiori. Annamara Bandiera, Narcisa e Fiorella Battaglini, Ivana Segnini, Enrichetta e Mirella Spinetti, Antonietta Barsalini, Antonietta Galgani e Lida Perna che amavano molto la scuola dovettero fermarsi.
Mi sentivo un privilegiato grazie al sacrificio dei miei genitori che avevano accettato la mia scelta di vita e si impegnavano per sostenerla.

Passavo il mio tempo fra libri e gioco. Nascevano i primi amori innocenti. Continuava ad affascinarmi, soprattutto, il gioco del calcio. Il 4 maggio 1949 era caduto a Superga l’aereo coi giocatori del grande Torino: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Quante lacrime! La nostra domenica, a parte la Messa del mattino, era dedicata al calcio. Le radiocronache di Nicolò Carosio che raccontavano le gesta di Mazzola, Boniperti, Lorenzi, Pandolfini, Julinho, Liedholm....

ci incantavano. C’erano poche radio nelle nostre case e non c’era ancora la televisione. Sfogavamo il nostro impeto giovanile sul terreno del Campello, dove ora si trova l’Hotel Select, confinante con il terreno di Boeri su cui c’era una stele in granito in memoria dei caduti nello sbarco degli Alleati a Campo, la Marinella del medico Danilo Colombi su cui era installato un traliccio con un palchetto, i campi di Cesare Battaglini detto Cesaraccio e la spiaggia. A un lato del terreno di gioco c’erano i tamerici usati come spogliatoi e dall’altro c’erano dune sabbiose usate come gradinate per gli spettatori.

Negli ’30 sul terreno del Campello si svolgeva il saggio ginnico di primavera. Gli alunni delle elementari, di fronte ai cittadini, ai maestri e al Podestà, partecipavano a gare sportive ed alla fine i migliori venivano premiati. Alcuni di essi, con movimenti coordinati di braccia e di gambe, componevano delle figure ginniche e quindi si sdraiavano dolcemente sul terreno configurando la scritta DUX. A quel punto un comando a voce, faceva scattare l’attenzione dei cittadini presenti che immediatamente alzavano, teso in avanti, il braccio destro facendo il saluto fascista
Alcuni giorni dopo, il terreno di gioco del Campello veniva rioccupato dai giovani, liberi e festosi per avventurose partite di calcio.

E questo accadeva ogni anno a Campo fino ai giorni drammatici della guerra.
Nel dopoguerra, la vita riprese con la speranza e i giovani si riappropriarono completamente del Campello.
Grandi anni erano quelli, soprattutto in estate. Giorni meravigliosi dove si correva spesso scalzi, su un terreno minato di scalzapreti pungenti. Non ci potevamo permettere le scarpette con i chiodi e le scarpe usuali si sarebbero rotte o consumate presto. Più tardi, verso la metà degli anni ’50 cominciammo a formare delle squadre in modo meglio definito, pensando alle tre posizioni tecnico-organizzative: portiere, difesa e attacco.

Le squadre erano fatte sul momento (lì per l’ì) utilizzando i giovani presenti. Intanto si sentiva sempre più la bellezza della vita. In primavera i ragazzi amavamo fare delle scampagnate con le ragazze ancora in fiore. Cory Gimelli, Rita Dini, Amelia Dini, Anna Gemelli, Cesira Baldetti, Rosaria Danesi, Elvia Galli, Enrichetta Spinetti, Piera Dini spesso cantavano canzoni popolari camminando per il piano e in collina. In estate, ogni tanto, ci piaceva portare le ragazze in barca e andare a Galenzana.

Si pescava nel Bagnolo e si ritornava a casa con il paniere o la borsa piena di gnacchere, lampade e ricci di mare.
Ma il calcio … Ho ancora in mente l’ immagine leggiadra di ogni amico nel proprio ruolo. Ubaldo Dini (terzino destro), Mauro Dini (mezz’ala destra), Oreste Tesei (mediano destro), Perez Marcello (Mediano destro), Mario Costantino detto Cibo (ala sinistra), Cesare Dini (mezz’ala sinistra), Elvio Mazzei (centromediano), Antonio Mazzei detto Tacchetto (portiere) e Michelino Adriani (terzino sinistro), Bruno Campatelli (mediano e mezz’ala destra), Renzo Mazzarri (terzino e mediano destro), Stefano Dini ( mediano sinistro), Marcello Colomo (mediano sinistro) e poi … mio fratello Mario (centravanti).

Personaggi particolari del momento furono Giocondo Mazzei (portiere) fratello di Elvio e Ildo Cervini (ala destra): il primo per i le sue parate spericolate nella polvere e le sue borbottanti imprecazioni, il secondo per le frasi tipiche da lui coniate come “àlamelo!” (passami il pallone all’ala) e “bévitelo!” (supera l’avversario con un dribling). Sono contento quando ho la possibilità di vederli e posso ritornare agli anni passati. Incontro poco Renato Palmieri (portiere e arbitro) e Pier Luigi Dini (portiere e arbitro) in quanto sono andati ad abitare continente.

Con piacere, parlo sovente con Elbano Battaglini, i fratelli Peppino e Mario Tacchella, Cesare Cervini, Silvano Spinetti, Nilo Pierulivo. Erano amici che giocavano poco o niente al calcio, ma, sicuramente, nel tempo libero avevano altre attrazioni. Le ragazze più grandi come Piera Ditel, le sorelle Maria e Antonietta Galli, Anna Palmieri frequentavano i giovani della loro età. Frattanto Peppino Battaglini, Mario Palmieri e Benito Greco prestavano attenzione alla politica. E anche Piero Medori, che era preso da altri interessi, ci frequentava poco.
Con me, continuò a giocare un gruppo unito e ristretto: Mauro, Ubaldo, Oreste.

Ci vedevamo spesso il giorno precedente la partita, per parlare di giocatori, di ruoli, di tattiche. Rari erano gli allenamenti. Solo qualche partitella sulla spiaggia. Ogni anno si giocavano partite importanti: Scapoli contro Ammogliati (ricordo, fra gli Ammogliati, Ugo Frati, Francesco Cassese e Ciro di Frenna) ed anche Campesi contro Villeggianti (ricordo, fra i villeggianti, Mario Gasparinetti di Roma, la cui famiglia era ospitata in casa dei Selci in via Case Nuove).
Prima della guerra, i giovani di allora, Alceste Nomellini, Giovanni Gentini detto Nannino e Sirio Donnini scorazzavano sul campo da gioco.

Poi arrivammo noi, proiettati verso l’avvenire. Dapprima ammiravamo i giovanotti, più bravi, come Fulvio Bontempelli detto Bambolobono, Franco Baldetti, Mario Galeazzi, Nedo Danesi, Glauco Gennari, Gigetto Mattera e Idilio Spinetti detto Tittoline. Quindi ... noi ... continuammo ad affermarci.
Il Campello, per me, per Ubaldo, per Cesare, per Stefano, per Nilo, grandi tifosi del Toro, ...era grandioso come il leggendario Stadio Filadelfia. Anche gli altri giovani ammiravano il loro lo stadio del cuore.
Eravamo quelli che amavano giocare al calcio, che avevano il calcio nel sangue.

Ci sentivamo quelli del Campello! Il Campello era il nostro stadio, lo stadio campese, la nostra bandiera!
Si puliva spesso noi stessi il terreno di gioco in terra battuta e si appianavano le buche. Il verde dell’erbetta era praticamente inesistente. Prima delle partite importanti si facevano le strisce bianche regolamentari utilizzando la calce e si mettevano i pali delle porte con la rete. Il pallone per giocare, agli inizi, era un normale pallone di gomma ma poi si dovette utilizzare un pallone di cuoio, più pesante.

La novità portò molto entusiasmo ma ci costrinse ad usare le scarpe di gomma. E, tutto questo, veniva fatto con grande dedizione , con tanto sacrificio, con i nostri soldi.
Organizzavamo delle partite anche a Pianosa o a Marciana Marina.
Talvolta si giocavano, con grande impegno, delle partite che duravano 5 o 6 ore con il risultato finale a molte reti. Durante la partita i giocatori potevano assentarsi per ore, sempre sostituiti nella squadra. La stanchezza era grande ma il divertimento ancora più grande.

Ci si riposava, nei brevi intervalli, ai bordi del campo o sulla spiaggia e si frenava la sete con l’acqua del rubinetto di Cesaraccio. Il pover’uomo ci faceva qualche urlo e spesso ci sgridava, ma poi finiva con l’accettare, bonario e rassegnato, che noi bevessimo l’acqua della sua fontina
Col tempo, verso la metà degli anni ’50, io, che studiavo nel Collegio Salesiano di Borgo San Lorenzo, cominciai a giocare con la Robur, in Ia Divisione – Zona Firenze, con mia grande soddisfazione.

Frattanto a Campo altri giovani si avvicinarono al nostro mondo: taluni amavano giocare come Massimo Cassese, Romelio Montauti, Umberto Foresi, Leonetto Spinetti, Nino Colomo e Nino Morganti, altri praticamente per stare insieme in allegra compagnia. Vanno Segnini, Giorgio Montauti, Elbano Ditel detto Napo, Marcello Paolini, Almiro Dini e Peppino Montauti erano fra quest’ultimi. Negli anni successivi, Giuliano Retali , che aveva cominciato a fare l’università assieme a Pier Luigi Dini, si unì a noi cercando di dare una migliore impostazione e imponendo delle regole.

Diventammo una squadra meglio organizzata e facemmo alcune partite “ufficiali” con l’Audace di Portoferraio, con la squadra di Marciana Marina e con la squadra di Pianosa. Ho ancora nelle orecchie le raccomandazioni di Giuliano nelle partite di Pianosa che ci chiedeva di non giocare duro e di fare molta attenzione per timore che nella squadra degli Agenti di Custodia fosse stato inserito, a nostra insaputa, anche qualche detenuto, che avrebbe potuto reagire pericolosamente.
Oggi, purtroppo, ho molti impegni e vado raramente a vedere le partite della Campese che gioca nel nuovo Stadio, bello e organizzato.

Sono contento per i giovani d’oggi... ma il Campello era un’altra cosa. Il Campello era il nostro terreno di gioco e lo si curava come se fosse di nostra proprietà. E poi si aveva la passione per il calcio, si giocava insieme con un profondo spirito di amicizia, si era fortemente disinteressati e si facevano molti sacrifici anche contro la volontà dei nostri genitori. Si pagava di tasca nostra con rari aiuti esterni.
Quando ero lontano dall’Elba, nel mio girovagare in Paesi lontani per lavoro, ho talvolta pensato con nostalgia a quelli del Campello.

Ora che sono ritornato all’Elba sono felice di rivedere quelli che amavano giocare al calcio. Purtroppo non ci sono Ubaldo, Oreste, Michelino, Marcello, Giocondo, Ildo ed altri amici ancora. Li immagino giocare, felici, su immensi prati verdi assieme a Piola, Meazza, Charles e a tanti altri gloriosi campioni del passato.
Per tutti noi il calcio fu una palestra di vita che permise di avviarci su strade sicure evitando le deviazioni pericolose. Pensavamo”Andiamo avanti !”… e ognuno prese la propria strada, spesso in accordo e talvolta in contrasto con la famiglia.

Si andava avanti superando gli ostacoli che le consuetudini o le mantalità ristrette ci ponevano davanti. Non sempre si andava d’accordo ma mai si era su posizioni estreme. Fra noi c’erano sicuramente degli screzi sul campo da gioco e fuori ma gli attriti duravano poco. Prevaleva il senso della collaborazione, della comprensione, della stima reciproca, del rispetto anche in presenza di scherzi. Il nostro comportamento era spesso vivace e si faceva soprattutto attenzione a non superare determinati limiti.

Si guardava in faccia all’avvenire, senza pregiudizi, fuori da ogni schema mentale precostituito, con spirito libero e tanta allegria nel cuore. Vivevamo la nostra etica morale anticipando i tempi. Eravamo figli di contadini, di marinai, di pescatori, di artigiani, di insegnanti, di impiegati e il rapporto fra noi era integrato e solidale al di fuori delle differenze sociali e culturali. Campo stava cambiando e, fra molteplici difficoltà, cercava altre vie di sviluppo. Noi, quelli del Campello, si andava avanti, ammirati, criticati e guardati con ironia.

La passione per gioco del calcio era la nostra fede e ci teneva uniti nel nostro stile di vita.
Correvamo con i capelli al vento e la catenina d’oro in bocca. Bagnati di sudore, con i nostri gioiosi movimenti, puntavamo verso la porta avversaria, driblando, scattando e poi .... rete! Correvamo felici verso il nostro destino per un domani migliore.

Raffaele Sandolo
elbasun@infol.it

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