La tecnologia avanza, la contraffazione indietreggia: radiografia del fenomeno nel convegno promosso da Confartigianato Imprese Firenze in collaborazione con la Camera di Commercio

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
07 febbraio 2005 15:15
La tecnologia avanza, la contraffazione indietreggia: radiografia del fenomeno nel convegno promosso da Confartigianato Imprese Firenze in collaborazione con la Camera di Commercio

“Un business mondiale da 500 mld di euro pari al 7% del commercio internazionale, 200 mila posti di lavoro in meno in Europa negli ultimi dieci anni, 6 mld di euro sottratti alle aziende italiane e 1 mld e mezzo di Iva evasa ogni anno, nonché una delle cause principali del saldo negativo (-2.151 unità) registrato nel 2004 dalle imprese del settore manifatturiero del nostro paese". Così Giorgio Guerrini, Presidente di Confartigianato, circoscrive il fenomeno contraffazione nel corso del convegno “La tecnologia avanza, la contraffazione indietreggia” promosso da Confartigianato Imprese Firenze con la collaborazione di Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Firenze.
“5 violazioni per il Made in Italy e 2 per la sicurezza dei prodotti accertati dagli Uffici Doganali nei primi sette giorni lavorativi del 2005, 61.375 ore/uomo spese nel 2004 dalla Guardia di Finanza (37.505 nel 2003 e 23.386 nel 2002) per interventi che hanno fruttato 3.600.786 sequestri (639.694 nel 2003 e 477.678 nel 2002), oltre 260 milioni il valore dei sequestri operati da tutte le forze di polizia nell’anno appena trascorso.

Livorno (52%) guida la classifica dei sequestri Gdf nel biennio 2002-2004, seguita da Firenze (34%), Pistoia (7%), Pisa (3%), Lucca, Prato e Siena (1% cad.). Louis Vuitton (35%), Ferrè (19%), Gucci (9%), Cerruti (8%) e Ralph Lauren (6%) le griffe più contraffatte del 2004 (rapporto Gdf)” aggiunge il VicePresidente di Confartigianato Imprese Firenze Andrea Pieri fotografando il fenomeno in Toscana.
Una vecchia storia che, partendo dall’antichità (scritti latini riferiscono della falsificazione dei sigilli che attestavano l’autenticità di particolari tipi di vino), arriva dritta al XX secolo quando, interessando per lo più generi di lusso riprodotti con maestria, è in grado di assicurare grandi profitti con la commercializzazione di esigui quantitativi di merce.

Nel corso degli anni ’70-’80 la vendita in massa di beni di largo consumo contraffatti segna la nascita dell’industria del falso che, proliferando con il tempo, ha oggi invaso quasi tutti i settori di mercato.
E’ nei paesi del Sud-Est asiatico (Cina in testa, seguita da Corea e Taiwan) che si concentra il 70% della produzione mondiale di falsi, mentre ai paesi del bacino del mediterraneo Italia compresa (il napoletano, l’hinterland milanese e la provincia di Prato le aree maggiormente interessate) appartiene il restante 30%.
Molteplici i canali di distribuzione e commercializzazione: operatori commerciali che, attratti dal basso costo della merce contraffatta, si prestano a venderla nei propri negozi (in crescita però i casi di vendita di falsi all’insaputa del gestore), cittadini extracomunitari impiegati nel commercio parallelo e sommerso ed internet capace di offrire elevate garanzie d’anonimato e grandi capacità di transazione.
Accanto ai settori maggiormente presi di mira, ovvero tessile, abbigliamento, calzature ed oreficeria (attività di punta del Made in Italy di cui proprio la Toscana e, in particolare Firenze, vanta il primato mondiale) si vanno affermando specializzazioni alternative come quelle dei falsi d’autore notevolmente cresciuti da quando, con la discesa delle borse, l’arte è considerata un bene-rifugio.

436 (più del doppio rispetto al 2003) sono infatti i falsi d’autore sequestrati nel 2004 dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Firenze.
Pericoli anche per il settore agro-alimentare: dalle contraffazioni dell’olio extra vergine d’oliva (emblematico il caso, sanzionato da una recente sentenza, di una nota industria che, per un olio proveniente da coltivazioni e frantoi non italiani, apponeva in etichetta come luogo d’origine la sede dello stabilimento) al recente caso del Chianti in busta, un kit canadese di concentrato di mosto da sciogliere in acqua.
“Una vera e propria emergenza che impone tolleranza zero e strumenti di repressione eccezionali, ma anche marchi che, certificando la qualità del prodotto italiano, proteggano le nostre produzioni.

E’ necessario pertanto prevedere una definizione di merci integralmente prodotte sul territorio italiano che potrebbero essere identificate con il marchio prodotto full made in Italy, ed una di merci originarie del territorio italiano che esprimano valori legati all’ambiente geografico d’origine con l’indicazione made in Italy” dichiara Guerrini.
“Un fenomeno che è possibile contrastare agendo contemporaneamente su più fronti: tenendolo sotto costante controllo con la creazione di un osservatorio, coinvolgendo nella sfida Governo, Enti locali, forze dell’ordine, imprenditori, consumatori e applicando alla lotta le nuove tecnologie di cui disponiamo” aggiunge Pieri.
E’ il caso delle cosiddette etichette intelligenti, microchip irriproducibili in grado d’incamerare una quantità pressoché infinita di dati (dalla tracciabilità alimentare all’expertise certificata) destinati ad utenti di tipo diverso (dal produttore al consumatore) e di attestare senza dubbio alcuno l’autenticità di un prodotto.

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