Dal cronista Dino Compagni al Moro, celebre trippaio ante-guerra in San Niccolò, da Giovanni Villani alle rime di Don Giancarlo Setti, storico parroco di San Lorenzo. Sino alle ricette di trippa esibite in Tv a MasterChef dalle concorrenti toscane. C'è di tutto nel libro di Roberto Baldini e Alfredo Scanzani edito nelle scorse settimane da Polistampa, una vera “Bibbia della Trippa” (pp. 221, € 15,00) che racconta in una prosa briosa il gusto della gastronomia fiorentina. Una carrellata di storia dell'alimentazione, letteratura gastronomica, aneddoti dei commercianti ambulanti e ricette toscane a base di frattaglie.
Pranzare al carretto del trippaio con un panino al lampredotto è la raccomandazione indirizzata ai turisti da tutte le guide di Firenze. Una delle specialità, insieme alla bistecca e i fagioli, alla pappa al pomodoro e alla ribollita, che caratterizzano da sole la nostra cucina tipica. Una tradizione che divide il pubblico, perché gusto e apparenza allontanano molti, e che fa assomigliare il panino al lampredotto al sigaro toscano, un altro must della tradizione fiorentina che non lascia indifferenti, o amici, o nemici dell'antico aroma di tabacco. Davvero in molti si avvicinano alla trippa per riscoprire una delle caratterizzanti identità e gusto del nostro territorio, insieme al vino, al sigaro e alla bistecca.
Più nutrienti dei panini del fast-food e anche più digeribili, le frattaglie sono preparate con le interiora degli animali, ma con pezzi di carne molti diversi tra loro, dalla cuffia e la croce al centopelli e il lampredotto, dalla lingua alla poppa, dalla matrice al buco. Piatti rustici e poveri, ma cucinati -documenta il volume di Baldini e Scanzani- almeno in 80 ricette. Non mancano infatti in città ristoranti che alle frattaglie dedicano l'intera offerta del menù. La trippa, nelle sue varietà, si trova ovunque a Firenze, in macelleria come sui banchi del supermercato. Oggi è lavata, sgrassata e bollita con candeggianti e sbiancanti chimici. Questi procedimenti ne garantiscono l'igiene, ma rendono il sapore piuttosto uniforme e, sopratutto nel caso del panino con lampredotto, determinanti diventano gli altri ingredienti, in primis la fragranza del pane.
La trippa è un piatto del presente in cui si ritrova la dieta del passato. La ricetta del “Carcerato pistoiese” prende il nome dagli insolventi imprigionati, a cui veniva consentito di uscire saltuariamente dal carcere per raggiungere il vicino macello, dove raccoglievano gli scarti della macellazione da riportare in cella per cucinarli con il pane secco. Si dice che Girolamo Savonarola, nel suo fervore religioso, giunto al governo della città, vietasse l'offerta di trippa e lampredotto in strada, come pure quella delle meretrici, associando forse il consumo di carne alla fornicazione. Il digiuno cristiano favoriva già nel Medioevo una dieta vocata ai vegetali, anche a causa di eventi ambientali, carestie, pestilenze e guerre.
Il libro di Baldini e Scanzani calcola che in Firenze la carne venisse consumata dalla popolazione solo in occasione delle festività e grosso modo, non più di una volta la settimana. E i pasti carnivori nelle case povere venivano cucinati con carne altrettanto povera, mescolata con verdure e legumi, o polenta. Di carne vaccina scelta non se parlava. Le frattaglie erano uno dei pochi tagli abbordabili per gli indigenti. Ricordate il vecchio detto: “Quando i' contadino mangia un pollo, o gli è malato il pollo, o gli è malato i' contadino”. Fino all'epoca della Firenze capitale esisteva nel Mercato vecchio una sorta di spaccio chiamato Mala Carne, destinato alla vendita di parti di animali anziani, o in sovrappeso, o uccisi da incidenti, o in aggressioni di predatori. Carne di seconda qualità e frattaglie a prezzo concordato.
Ma anche nel resto d'Europa, sino al '900, di carne buona se ne mangiava poca. Ancora oggi, se vi capita di vistare le capitali dell'Est, specie in occasione delle festività, troverete i banchi dei mercati popolari riempirsi di montagne di colli di pollo, teste, zampe e tante frattaglie. Dove le tradizioni non sono ancora state spazzate via dalle catene alimentari multinazionali è bello attardarsi davanti alle bancarelle che offrono 'O pèr e 'o muss a Napoli, Stigghiole arrostite sul lungomare di Catania, Pani c'a meusa al porto di Palermo, o il panino con Kokoreç lungo il Bosforo a Istambul, sorta di trippe arrostite alla griglia, alla maniera degli antichi greci, proprio con una ricetta cantata da Omero nell'Iliade.
In Toscana la trippa non è l'unico piatto di carne povera. I villani del passato si cibavano abitualmente di chiocciole e ranocchi, che ormai si trovano soltanto in qualche sperduto ristorante, o in occasione di sagre tipiche, oppure animali del bosco, come gli istrici (ora vietatissimi). Ma già gli Aruspici etruschi utilizzavano gli intestini per predire il futuro. Sorprende notare come oggi si cerchi il Lampredotto per ritrovare il nostro passato, almeno quello gastronomico.