Un marchio Covid-Free per la ricettività, puntando sui valori della sicurezza e della salute per far ripartire il settore. È la proposta che lancia Francesco Bechi, presidente di Confturismo Toscana, l’organo di coordinamento delle federazioni regionali del turismo afferenti a Confcommercio (Federalberghi, Fipe, Fiavet, Faita-Federcamping, Confguide, Res Casa).
“Lanciamo alla Regione Toscana l’idea di creare un marchio per la ricettività Covid-free, da spendere a livello internazionale per ogni comunicazione e promozione del turismo toscano. Pur di lavorare, siamo disposti ad innalzare il livello di sicurezza nelle nostre strutture con misure di prevenzione e protezione più spinte rispetto agli attuali Protocolli Covid19, privilegiando la disponibilità di spazi più ampi anti-contagio come è stato proposto anche per i pubblici esercizi”, spiega Bechi, “gli imprenditori che decideranno di aderire al marchio potrebbero impegnarsi, ad esempio, ad aumentare le regole e i controlli sia per i dipendenti sia per i clienti, sottoponendo ogni oggetto, strumentazione ed ambiente a sanificazioni ancora più frequenti e minuziose di quanto previsto dalle norme.
Qualche punto in più potrebbe darlo, poi, la possibilità di offrire i pasti in ambienti esterni o di servirli direttamente nelle camere. Si potrebbe inoltre prevedere la possibilità per la struttura di mettere a disposizione dei clienti tour individuali per la visita alla città, mezzi di trasporto alternativi (come le bici elettriche) per evitare i mezzi pubblici, convenzioni con ristoranti e altri locali ugualmente a marchio Covid-Free”.
“Dobbiamo comunque essere realisti”, prosegue Bechi, “con l’arrivo del vaccino tanti settori economici potranno riprendere quota piano piano, ma il turismo non ripartirà davvero prima del 2024, stando alle previsioni di Iata e altre fonti autorevoli. E se la Toscana vuole arrivare preparata all’appuntamento, deve aiutare le imprese della ricettività a resistere e rinnovarsi”.
Così, in attesa che la tempesta passi, c’è l’urgenza di salvare le oltre 14mila imprese ricettive toscane, che nel 2019 esprimevano un fatturato complessivo intorno ai 21,5 milioni di euro, crollato a poco più di 4 milioni di euro nel 2020. Da qui, le richieste di Confturismo Toscana alle istituzioni, governo in primis: “non vogliamo svendere le nostre attività, ma salvarle. Chiediamo quindi garanzie di accesso al credito che seguano gli stessi criteri di affidabilità del 2019, per consentire anche minimi investimenti; un sistema di ripartizione delle perdite di questo periodo che le suddivida in tranches da spalmare sui prossimi venti anni; la sospensione della tassazione per il 2021 ed una riduzione dei costi delle utility per quanto riguarda le accise”, dice il presidente Bechi.
“Chiediamo infine di congelare l’entrata in vigore del nuovo Codice del Commercio per tutta la durata dello stato di emergenza, perché ci sono regole che le imprese non reggerebbero, come quella relativa alla ricapitalizzazione delle società in perdita, che sarebbe in toto a capo dell’imprenditore, con il risultato di indebitare lui e la sua famiglia per generazioni”.
“Agenzie di viaggio e strutture ricettive sono al palo e lo resteranno ancora a lungo, almeno fino a che non saranno garantiti i tre tipi di sicurezza fondamentali per far ripartire il settore: sanitaria, geopolitica ed economica. Ecco perché occorre liberarle quanto possibile dai costi, sostenerle con ristori adeguati per non disperdere l’occupazione che garantiscono, infine aiutarle a cambiare. Anche perché insieme a loro restano al palo tutte le imprese dell’indotto, dai trasporti, alla ristorazione, da chi forniva servizi alle professioni turistiche.”.
Bechi fa appello anche alla Regione Toscana: “non possiamo permetterci di perdere il patrimonio di imprese che in questi decenni ha costruito una rete di accoglienza efficace e diffusa sul nostro territorio. Con le risorse e gli aiuti adeguati, le attività ricettive possono sfruttare questo tempo di forzata inattività per ricollocarsi sul mercato riqualificandosi in chiave digitale ed ecosostenibile. Rivedendo anche, dove occorre, il patrimonio edilizio e la struttura imprenditoriale. Perché oggi non vale più il concetto del “piccolo è bello”. Oggi il piccolo è a rischio chiusura perché sottocapitalizzato e non in grado di reggere ad eventi come questa pandemia. Dobbiamo ragionare su economie di scala più ampie. Ma anche mettere al bando l’improvvisazione ponendo precisi distinguo tra diverse tipologie di attività, come quelle ricettive e le locazioni turistiche, che hanno ancora confini sfumati”.
Secondo Confturismo Toscana, anche le amministrazioni locali possono gettare le fondamenta per un nuovo tipo di turismo: “questo è il momento per rivedere con gli strumenti dell’urbanistica il modello di consumo delle città, finora molto concentrato sui numeri, con il risultato che realtà come Firenze, in modo macroscopico, ma anche altre più piccole, hanno espulso residenti dai centri storici, lasciandoli in mano a turisti e daily consumer (lavoratori e studenti)”, spiega Bechi.
“Il Covid ha spazzato via molti stili e abitudini di consumo nel turismo, così come interi segmenti. Il business, per esempio, perché accelerando l’evoluzione digitale tanti eventi saranno sostituiti per sempre con i collegamenti on line. Insomma, anche con la ripresa nel 2024 non tutto sarà uguale a prima. Dobbiamo prepararci ai nuovi scenari e le istituzioni in questo devono affiancare le imprese. Lo Stato deve fare la sua parte con progetti di lungo respiro volti a formare, ristrutturare, fare azioni di re-branding, sostenibilità e adeguamento ai trend internazionali, oltre che al recupero di immobili e allo sviluppo tecnologico.
Non solo quindi finanziare la sostituzione di infissi e facciate, ma ripensare al complessivo modo di ospitare in tutti i settori dell'accoglienza. Se c'è qualcosa che questa sciagura ci ha insegnato è che dobbiamo essere più forti per essere pronti a tutto, e possiamo esserlo solo creando prodotti che facciano davvero presa sul mercato mondiale”.