Nella villa medicea di Careggi, la villa fiorentina patrimonio mondiale dell’Unesco, proprietà della Regione e in corso di restauro, troverà casa un centro di ricerca sul paesaggio. La vice presidente ed assessora alla cultura e all’università, Monica Barni, l’annuncia nel corso di un convegno a Firenze che si è svolto oggi a Palazzo Strozzi Sacrati su un progetto, tutto toscano, legato al programma Fao sul patrimonio agricolo mondiale, il Giahs appunto, e su un master internazionale, unico nel mondo e tutto fiorentino, per formare manager che sappiano conservare e gestire, anche in un’ottica si sviluppo economico, i siti iscritti.
Il centro di ricerca sul paesaggio, che non casualmente nasce in Toscana, che “dal 2014 – ricorda l’assessore – si è dotata di una legge per la tutela del paesaggio”, vedrà la collaborazione di Regione e università. “A breve – spiega Barni – sottoscriveremo il protocollo e l’aspetto più importante è che vedrà collaborare tra loro agronomi e storici, storici dell’arte, economisti e giuristi, in un approccio multidisciplinare con metodologie, prospettive e strumenti di analisi molto diversi tra loro. Un approccio olistico che in fondo è parte anche del Giahs e del master toscano finanziato con due milioni di euro dall’Agenzia per la cooperazione del Ministero degli esteri con il supporto anche dalla Regione e della Fao.
“La giunta regionale in questa legislatura si impegnata molto sull’alta formazione e ricerca – ricorda ancora Barni – essenziali per fa da volano allo sviluppo ed anche ad uno sviluppo sostenibile. E fin dall’inizio abbiamo creduto al progetto legato al programma Giahs”.
L’incontro e la tavola rotonda di stamani a Firenze costituiva l’occasione per presentare i risultati del primo anno di attività, che si è svolta lungo due binari: da un lato l’individuazione di siti da preservare in Toscana e in Italia - luoghi dove ambiente, tecnica, cultura e tradizione (che non è mai immobile ma semmai una lenta linea in movimento) hanno creato un tutt’uno, luoghi dove il paesaggio è frutto dell’interazione con l’uomo alla fine – e dall’altro un aiuto a formare personale per gestire altrove quei siti. Entrare a far parte del patrimonio mondiale Fao è un po' l'equivalente dei siti Unesco per la cultura.
Sono 57 quelli di tutto il mondo ad oggi iscritti, distribuiti in ventuno diversi paesi, di cui due in Italia, le colline vitate del Soave e gli ulivi secolari pedemontani tra Assisi e Spoleto; ma ben 126 sono i siti potenziali, di cui nove in Toscana: dai vigneti terrazzati, invasi negli anni dai boschi ed oggi riscoperti e preservati, di Lamole nel comune di Greve in Chianti ai castagneti secolari di Moscheta fino alla policoltura di Trequanda (tutti e tre già iscritti nel registro nazionale dei paesaggi storici rurali), dalle Biancane della Val d’Orcia ai castagneti monumentali dello Scesta, dalla collina di Fiesole al Montalbano attorno a Larciano.
Ma anche le abetine della selvicoltura monastica di Vallombrosa o la montagnola senese di Spannocchia.
Cinque sono i criteri che un sistema agricolo deve rispettare per essere certificato Giahs: garantire la sicurezza alimentare e fornire cibo di qualità, tutelare l’agrobiodiversirà, salvaguardare le conoscenze tradizionali, promuovere valori culturali e sociali, conservare il paesaggio tradizionale.
Ma tutto questo deve essere fatto in un’ottica di sviluppo, è stato spiegato oggi al convegno. “Uno sviluppo magari alternativo, capace di far da traino anche al turismo. L’idea è creare un indotto” spiega Mauro Agnoletti dell’Università di Firenze, coordinatore del progetto. Può essere la soluzione per speciali aree interne di tutto il mondo da dove la popolazione fugge e dove oggi non c’è sostenibilità economica. Conservare quei siti e rilanciarne anche l’economia sarà il compito dei manager formati con il master fiorentino, giunto al secondo anno: ventisei studenti da sedici paesi nel corso appena iniziato, la maggioranza ragazze, e venticinque da diciotto diverse nazioni nella prima edizione, i quali tra tutti i siti Giahs hanno selezionato venti modelli in tutto il mondo, esempi di gestione per mitigare l’emergenza climatica e il rischio idrogeologico preservando qualità degli alimenti, biodiversità e paesaggio.
Anche i ragazzi e le ragazze hanno partecipato stamani hanno partecipato all'incontro in Regione.
Ci sono i vigneti piantati sulle lave vulcaniche alle Canarie e la coltivazioni di rose ‘super profumate’ in Iran, gli orti galleggianti sul lago Inle in Myanmar dove si coltivano ortaggi su isole lievi di fango ed erba tenute ferme con i bambù, i terrazzamenti in pietra sugli altipiani in Etiopia, la silvopastorizia della parte centrale di El Salvador, le oasi montane della Tunisia. E poi ancora, ma l’elenco potrebbe ulteriormente continuare, le coltivazioni tradizionali di caffè e cacao a Cuba, che si sviluppano all’ombra della foresta, le risaie a terrazzo della Cina o i terrazzamenti di vigneti a Lamole in Chianti. Cosa li accomuna? Sono tutti esempi dell’ingegno dell’uomo ad adattarsi ad ambienti e climi diversi.
Esempi e modelli da studiare e salvaguardare. Oasi da proteggere dove continuare a produrre e creare magari un indotto turistico. E’ l’esempio di come l’agricoltura, una agricoltura sostenibile, può contribuire a salvare il pianeta. Il tema è stato al centro della tavola rotonda ospitata stamani a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della presidenza della Regione, dove sono stati illustrati i primi risultati del progetto “Gihas Building capacity”, coordinato dall’Università di Firenze e finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, con il supporto di Fao e Regione.
L’incontro, moderato dal presidente del comitato scientifico del programma Gihas Mauro Agnoletti dell’università di Firenze e coordinatore del progetto, ha visto la partecipazione della vice presidente della Regione Toscana Monica Barni, dei Renè Castro-Salazar, vicedirettore generale della Fao e responsabile del dipartimento clima, biodiversità, terra ed acqu, di Cristi ana Mele della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, di John Parrotta, presidente dell’Unione internazionale delle organizzazioni di ricerca agraria (Iufro), di Francesco Ferrini, direttore delle scuola di agraria dell’Università di Firenze, e di Marco Focacci dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
Si è parlato dunque di agricoltura, ma anche di paesaggio e sostenibilità. “La parola chiave deve essere ‘paesaggio’ - ammonisce John Parrotta di Iufro – Su questo, anziché sulle sole risorse idriche e agricole, dobbiamo concentrarci. In fondo in passato è sempre stato così e le tre cose non erano considerate come ambiti a se stanti”. “Salvare il paesaggio non vuol dire neppure cristallizzarlo – ricorda Ferrini della scuola agraria dell’Università di Firenze - L’agricoltura moderna è fatta anche di tecnologia”.
Pure la tradizione in fondo, quando è nata, era innovazione. Il sapere tradizionale è un sapere olistico, dinamico anche. “E l’agricoltura sostenibile -rammenta Cristiana Mele per il Ministero degli Esteri, dove si occupa di cooperazione allo sviluppo – è tra gli Sdgs (i diciassette obiettivi per uno sviluppo sostenibile individuati dall’Onu ndr) sicuramente tra gli obiettivi più trasversali”. L’Italia e il Ministero in particolare, ricorda, ci lavora su tre fronti: attraverso i partenariati, per diffondere le buone pratiche, attraverso l’agenzia per la cooperazione, attraverso chiaramente strategie da definire prima e dopo per ottimizzare le risorse, non infinite, a disposizione”.
Sostenibilità vuol dire chiaramente anche strategie carbon-neutral, per la riduzione della produzione di Co2. E’ il vicedirettore della Fao, Renè Castro-Salazar, a soffermarsi sul tema. L’equazione da rispettare per centrare gli obiettivi che la comunità internazionale si è data ed evitare il collasso è semplice: prendi le emissioni globali in atmosfera, sottrai le riduzione che si riuscirà ad operare, sottrai le compensazioni e il risultato deve essere zero. In qualche paese si potranno piantare nuovi alberi, in altri, diversi per conformazione fisica, si potrebbe ridurre l’uso delle biomasse.
Per ogni chilo di caffè si producono cinque chili di anidride carbonica. “Ma già ci sono nel mondo esempi di caffè ad emissioni zero – spiega Castro-Salazar - , così come si producono carne di manzo ad emissione zero in Brasile o tessuti ad emissioni zero. Il passaggio ulteriore è servire, ugualmente ad emissioni zero, quel caffè o quella bistecca o impegnarci a utilizzare quei tessuti, facendo abiti belli”. Farli insomma diventare una filiera economicamente sostenibile: costruire una rete.
“Altrimenti, se falliamo – conclude –, l’umanità non avrà futuro. Con u n aumento della temperatura di quattro gradi sarà il collasso e non solo iun problema economico e sociale, che già oggi con un grado di surriscaldamento ci troviamo ad affrontare”.
L’iniziativa è stata inoltre l’occasione per presentare la seconda edizione del master internazionale sugli Agricultural Heritage Systems in partenza a febbraio, all’interno del progetto GIAHS – Building Capacity, coordinato dal Laboratorio per il Paesaggio del Dipartimento di Scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali dell’Università di Firenze e finanziato da AICS – Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, con il contributo di FAO e Regione Toscana.
Si tratta dell’unico corso universitario di alta formazione al mondo espressamente legato al programma GIAHS, vale a dire a quei sistemi ritenuti dalla FAO di importanza globale per il patrimonio agricolo del pianeta. Il Ministero delle Politiche Agricole ha redatto protocollo di intesa con la FAO per collaborare al programma. Il master ha l’obiettivo di formare i futuri manager dei paesaggi agricoli che rispondono ai criteri del programma FAO, professionisti in grado di ideare modelli gestionali, che implementino pratiche sostenibili, preservino i prodotti agricoli di alta qualità e i valori bioculturali legati al paesaggio.
Il futuro del pianeta potrà essere assicurato solo da una “gestione attiva” delle risorse naturali che integri esigenze ambientali, economiche e sociali, rispettando le culture locali e il loro paesaggio. In questo contesto la Scuola di Agraria dell’Università di Firenze svolge un ruolo di primo piano che le è stato assegnato dalla Agenzia per la Cooperazione allo Sviluppo e condiviso dalla FAO. La missione dei futuri manager del paesaggio sarà quella di progettare e gestire sistemi a basso input energetico in grado di mitigare il riscaldamento climatico e minimizzare il rischio idrogeologico.
Inoltre, avranno le competenze per migliorare le condizioni economiche delle comunità rurali attraverso una conservazione dinamica del paesaggio, riducendo l’abbandono e il degrado ambientale, nell’ambito di un nuovo modello di sviluppo rurale.