La Procura della Repubblica di Prato, il Gruppo investigativo dei Carabinieri, il Gruppo Antisfruttamento del Dipartimento di Prevenzione della Asl Toscana Centro e la Guardia di Finanza al termine dell'indagine sul pronto-moda Dreamland, oggi hanno tratto in arresto quattro imprenditori cinesi per le gravi condizioni di sfruttamento imposte agli operai.
"Non c'è posto a Prato per chi lucra sullo sfruttamento dei lavoratori facendo del lavoro un ricatto - afferma il sindaco Matteo Biffoni- Ancora una volta gli organi investigativi, le forze dell'ordine e le istituzioni del territorio si sono unite secondo le proprie competenze per raggiungere un obiettivo unitario, impedire che nel distretto ci siano soggetti che fanno impresa infrangendo ogni regola civile e senza rispetto per la dignità dei lavoratori".
Solo lo scorso giovedì l’iniziativa sindacale di fronte al salone Pitti Filati, in cui i lavoratori della Ritorcitura Duemila e della GH di Prato denunciavano l’indifferenza dei committenti di fronte alle condizioni di lavoro nelle loro filiere di fornitura conto-terzista.
La rappresentante del Consorzio Promozione Filati di Confindustria Toscana Nord si chiede “quali strumenti possano essere messi in atto rispetto alle condizioni di lavoro in cui opera il personale delle lavorazioni”, sostenendo di non poter “certo fare il giro di tutte le lavorazioni e intervistare i lavoratori entrando in una proprietà privata”.
“La questione può essere sintetizzata così -intervengono Francesca Ciuffi e Luca Toscano per il Sindacato Intercategoriale COBAS Coord. Prato-Firenze- Per tutto l'anno queste aziende inventano mille e più uno modi per vantare pubblicamente la propria capacità di controllo della filiera come garanzia di sostenibilità sociale. Poi, il giorno che dei lavoratori terzisti denunciano di essere sfruttati, scopriamo dalle stesse aziende committenti che non hanno nessuna capacità di controllo e non possono garantire nulla sulla regolarità del lavoro presso i terzisti. Per noi le cose sono due: ai committenti resta la responsabilità di intervenire per garantire i diritti nelle proprie filiere.
O, se non ne sono capaci, che internalizzino le lavorazioni e assumano alle proprie dipendenze chi fino ad oggi è stato sfruttato conto terzi. Cioè per conto loro. Queste aziende dicono di essere gli ambasciatori internazionali del Made in Italy: qualcuno vuole davvero che questo marchio diventi sinonimo di sfruttamento?”