Se nelle opere teatrali di Eschilo la Hybris (= trasgressione, tracotanza) dell’uomo, intesa come superamento del limite consentito, è causa della catastrofe della vita stessa dell’uomo dove viene rappresentato superbo e violento - come Serse nel suo dissennato disegno di dominio, Prometeo nel suo oltrepassare il limite posto da Zeus per il cammino della civiltà dell’uomo, o Agamennone per aver intrapreso la guerra di Troia sacrificando ad essa addirittura la vita della figlia - nel teatro di Armando Punzo, nell’indagine dei “temi impossibili”, il progetto di quest’anno che si concluderà l’anno prossimo, viene sottolineata la semiologia etimologica (insolente = “in solere” colui che fa cose insolite; tracotante = da “ultra cogitare” colui che va oltre il pensiero) per rovesciare la prospettiva comune per cui la Hybris potrebbe anche essere un atto di coraggio, un sogno, una ricerca indomita della felicità.
D’altra parte, il progetto e le rappresentazioni teatrali che ci ha regalato Punzo negli ultimi 30 anni di lavoro con la Compagnia della Fortezza, sono l’esempio vivente della capacità di andare “oltre”… oltre le convenzioni e le etichette, portando lo spettatore dentro la scena, dentro una struttura carceraria.
E così ci troviamo, fin dal cortile antistante l’ingresso, richiamati dal battere ritmico e cadenzato delle lance di bambù alte quasi quanto le mura di un drappello di guerrieri-monaci dalle vesti rosse che, raggiunti nel perimetro d’aria, corrono intorno a due vasche disegnando il simbolo dell’infinito. Subito immersi in un mondo possibile, pur essendo nella realtà più impossibile e cioè in un istituto di pena, ognuno di noi sente di aver varcato una soglia. Le percussioni e uno strumento esotico che richiama il suono del mandolino fanno da sottofondo alle declamazioni degli attori che definiscono il quadro di magia e portano per mano ogni spettatore lungo un percorso possibile oltre le convenzioni, oltre la realtà conosciuta, oltre la tradizione, i limiti spaziali e temporali, scavalcando sfere bianche, cubi, piramidi che galleggiano sull’acqua trasportati dal vento… passo dopo passo, difficoltà dopo difficoltà, abbandonando il conosciuto per esplorare l’ignoto, pregiudizio dopo pregiudizio, in un corale rovesciamento dei riferimenti di una realtà addomesticata.
La musica incalza, le sonorità orientali e gli accenti diversi degli attori sono elementi essenziali dell’aleph, come i contrasti degli abiti e dei trucchi (il bianco e il nero) ed i contrasti emozionali, il pianto e il riso che si sciolgono in un abbraccio finale, stretto in un valzer, mentre il bambino gioca nell’acqua con la testa del minotauro.
Armando Punzo ancora una volta tocca l’anima di ogni spettatore lasciandogli, oltre ad un’emozione alla quale il teatro tradizionale difficilmente arriva, anche il quesito filosofico…forse la Hybris sprigiona anche un valore positivo, di spingere ognuno di noi verso limiti prestabiliti o forse verso il luogo adepto dove tali limiti non esistono e che sono proprio la magia del teatro.
Costanza Borgognoni