Sperando che sia di interesse, sottopongo all'attenzione un caso reale, raccontandolo con un registro di comunicazione semplificato.
Romeo ha una piccola casa dove abita, e anche Giulietta ha una piccola casa dove abita. Non devono pagare l'Imu perché per legge si tratta di 'prime case'. Romeo e Giulietta si conoscono e si fidanzano. Non devono pagare l'Imu perché per legge si tratta sempre di 'prime case'. A un certo punto decidono di sposarsi. Romeo e Giulietta devono pagare l'Imu, 900 euro all'anno perché si sono sposati.
Questo è ciò che sta scritto in una risposta ufficiale del Servizio Entrate del Comune di Firenze, che è stato interpellato a tal proposito.
In base a una legge recentemente modificata - art. 1, co. 741 lett. b), legge n. 160 del 2019 -, se i coniugi stabiliscono la propria residenza in due case diverse, e cioè se fanno i furbi, allora su una delle due case devono pagare l'Imu. La norma vuole colpire i coniugi che comprano una seconda casa e simulano di abitare in due case diverse per non pagare l'Imu dicendo: "non mi interessa dove abitate, su una delle due case dovete pagare l'Imu, scegliete voi quale.".
Nel caso specifico di Romeo e Giulietta la situazione di fatto e la capacità contributiva non sono cambiate. Hanno semplicemente la colpa di aver formalizzato la propria unione. Il Comune di Firenze fa finta di non sapere (poiché nella risposta fornita non se ne fa alcuna menzione):
- che c'è un'Ordinanza della Corte costituzionale che ha rimesso a se stessa 'questione di legittimità' sull'argomento (cioè sta studiando il caso perché la norma le sembra illegittima);
- che la Corte costituzionale fin dagli anni Settanta ha stabilito che il fatto di sposarsi non vuol dire avere più reddito e quindi dover pagare più tasse perché la Costituzione vuole anzi promuovere la "formazione della famiglia" (art. 31 Cost. "La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia").
ATTENZIONE: la precedente risposta è stata sostituita alla luce della recente pronuncia della Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209/2022, chiude il controverso caso dell'Imu per i coniugi che vivono in due Comuni diversi, riconoscendo ad entrambi gli immobili l'esenzione.La normativa Imu, scritta dal governo Monti nel "Salva Italia" (D.L. n. 201/2011, art. 13), ha identificato come "principale" e, dunque, esente dall'Imu, l'abitazione in cui "il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente".
Inoltre, ha precisato che con due abitazioni nello stesso Comune la famiglia avrebbe avuto diritto a una sola esenzione. Da ciò è nata la questione delle famiglie che, invece, vivono in case di proprietà in Comuni diversi, ricongiungendosi, per esempio, nei fine settimana come capita sempre più spesso.
Il Mef ha risposto alla diatriba, chiedendo, nelle sue istruzioni, di esentare entrambi gli immobili in quanto il limite della norma riguardava la doppia casa nello stesso Comune. La giurisprudenza attivata dai ricorsi comunali, che è arrivata in Cassazione, ha previsto l'opposto negando a tutti il beneficio.
Successivamente, il decreto fiscale n. 146/2021, ha proposto l'idea di imporre l'Imu solo a una delle due abitazioni, non specificando, però, i criteri ed anzi chiedendo ai coniugi di "scegliere", a loro discrezione, quale immobile esentare.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209/2022, fa ordine in questa diatriba e, inoltre, cancella ex tunc il "nucleo famigliare" dalla norma originaria dell'Imu abrogata nel 2019, per evitare eventuali dubbi che potrebbero sorgere nei ricorsi ancora pendenti.
L'esenzione potrebbe essere applicata anche alle case situate nello stesso Comune, dimostrando, però ,il requisito della "dimora abituale".La sentenza sottolinea la tutela della famiglia nella Costituzione e precisa che la penalizzazione fiscale delle coppie sposate viola tre articoli costituzionali, quali:
- l'art. 3 sull'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge;
- l'art. 31 che chiede alla Repubblica di "agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia";
- infine, l'art. 53 sulla "capacità contributiva" che deve misurare il contributo di ciascuno alla spesa pubblica.