Il comunicato della “Proprietà della ACF Fiorentina” (al 97% la Fiorentina appartiene al gruppo “Diego Della Valle & C. srl”, l’1% è di Andrea Della Valle e il 2% di Firenze Viola s.r.l), segna una linea di demarcazione nella storia recente della società viola. Dopo numerosi segnali lanciati da Diego Della Valle, “dov’è il divertimento?”, e il passo indietro annunciato da Andrea Della Valle, la proprietà ha scelto un caldo pomeriggio di giugno per annunciare la propria disponibilità, “vista l'insoddisfazione di parte della tifoseria, a farsi da parte”, invitando ad avanzare “offerte concrete”. Offerte che devono essere fatte da “chi vuole bene alla Maglia Viola … si auspica e si spera, [che se] ci sarà un progetto fatto da “fiorentini veri”, questi troveranno massima apertura e disponibilità da parte della Proprietà, come ennesimo attestato di rispetto nei confronti della Fiorentina e della città di Firenze”.
Nessun equivoco: le procedure di vendita di una società sono altre. Queste sono parole che esprimono il profondo risentimento accumulato, dai fratelli Della Valle, nei confronti di chi, in vari modi, ha contestato le scelte della proprietà e/o sottolineato la lontananza dalla città - di origine, ma, soprattutto, di presenza.
Indubbiamente, quindici anni di gestione di una squadra di calcio sono tanti e logorano qualsiasi proprietario, specie se: la bacheca dei trofei è vuota; l’andamento sportivo è deludente; le prospettive sono quelle di un ulteriore ridimensionamento con la cessione dei giocatori migliori.
Queste parole rimandano, però, a una questione che, fin dall’inizio, ha rappresentato un ostacolo al rapporto tra i Della Valle e la tifoseria: la loro convinzione di essere dei benefattori che il pubblico fiorentino doveva ringraziare. A questo approccio, si è sommata la permalosità e, soprattutto, la non volontà di comprendere il destino del proprietario di una squadra di calcio: acclamato se arrivano le vittorie, contestato se i risultati sono deficitari, in una battuta, la dura legge del gol.
Quello che è successo nell’ultimo anno e mezzo è una crisi di consenso, generalizzata, anche se espressa in diverse modalità, manifestata apertamente dalla Curva Fiesole, mugugnata nelle strade e negli altri settori dello stadio. Il punto di partenza è noto: Fiorentina seconda in classifica, mercato di gennaio aperto e condotto all’insegna del passo indietro (Tino Costa, Koné, Zarate, Tello, Benalouane), con conseguente perdita di posizioni in classifica e di fiducia nel popolo viola. Il punto d’arrivo è altrettanto noto: dopo un anno vissuto da separati in casa, con l’allenatore, con la perdita dell’Europa, si riparte dalla cessione dei pezzi pregiati.
Sarebbe bastato poco: un’autocritica per il recente passato; la definizione di un obiettivo preciso (l’Europa); l’assicurazione che, visto l’avvenuto risanamento del bilancio, i proventi delle cessioni sarebbero stati quasi completamente reinvestiti. Ci volevano passi concreti per rimettere insieme i cocci e riconquistare il consenso, mostrare ambizione e passione, gli aspetti maggiormente deficitari di questa gestione, e invece arriva questo comunicato che allarga le fratture, rendendole, probabilmente, insanabili.
Quali scenari si aprono? Se la volontà fosse vendere, un testo del genere usciva fuori solo a cessione già effettuata; in questo modo, diventa tutto più difficile. Far vedere che non c’è nessuno, tanto meno “fiorentino vero”, che si fa avanti? Il sogno di essere richiamati a gran voce?
Lo scenario più preoccupante, è quello del disimpegno nella costruzione della squadra, avendo l'alibi, la società è in vendita, per non reinvestire i soldi provenienti dalle cessioni. Ma, al tempo stesso, proprio questo terreno potrebbe positivamente, se ce ne fosse ancora la volontà, cancellare le parole e far parlare i fatti.
Massimo Cervelli