Firenze – Le malattie rare in Toscana non coinvolgono pochi pazienti come si potrebbe pensare. Tutt’altro: i malati diagnosticati attualmente sono 30mila 713, affetti da 460 patologie differenti; nel 99 per cento dei casi si tratta di malattie genetiche, quindi croniche, e spesso molto gravi. Lo ha spiegato questa mattina in commissione Sanità, durante un’audizione, il presidente del Forum toscano delle associazioni toscane malattie rare Silvano Pucci, denunciando come spesso questi pazienti rischiano di essere “malati di serie B” rispetto agli affetti da patologie più diffuse e riconosciute.
Infatti, ha spiegato Pucci, una persona affetta da malattia rara generalmente aspetta dai 7 ai 10 anni prima di vedersi fatta la diagnosi giusta; a questo si aggiunge che spesso la commissioni d’invalidità giudicano i vari casi in maniera differente, di modo che i malati vengono trattati in maniera diversa sul territorio toscano. “Vorremmo inoltre equità di trattamento del paziente indipendentemente dalla patologia – ha detto Pucci –. Ci sono malattie che hanno maggior diritto di ‘cittadinanza’ nel sistema sociosanitario, altre no”.
Così ad esempio il 20% dei malati di malattie rare rinuncia a curarsi perché non ha i soldi per farlo; ottenere il certificato di esenzione è un iter difficile e “talvolta quasi umiliante, fatto di code e attese infinite”; non esiste un passaggio di testimone fra pediatria e medicina degli adulti (il 30 per cento degli affetti da malattie rare sono bambini), così i pazienti continuano a farsi curare nei centri pediatrici anche a 20 anni. Il presidente della commissione Sanità Marco Remaschi (Pd) ha garantito, al termine dell’audizione, il massimo impegno da parte dei commissari.
“Ci attiveremo con la Giunta affinché si lavori assieme alle associazioni, per fornire a questi malati il maggior supporto possibile”, ha detto Remaschi, il quale ha chiesto, inoltre, “che nell’ambito del nuovo piano socio-sanitario sia esplicitato un metodo che garantisca a tutti i cittadini la sicurezza di essere presi in carico”. L’Istituto zoo profilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana dovrà essere riorganizzato. Lo ha comunicato l’assessore regionale alla Sanità Luigi Marroni.
La riorganizzazione si è resa necessaria per adeguarsi alla nuova normativa nazionale e, ha spiegato Marroni, poiché l’Istituto fa capo a due regioni contigue, è necessario un iter che coinvolga entrambi gli enti in maniera speculare. Dopo il lavoro congiunto di un gruppo interregionale, che si è concluso nel dicembre scorso, è stato approntato un protocollo d’intesa che dovrà essere firmato dai due presidenti di Giunta. Seguirà una legge di ratifica che dovrà essere adottata dai Consigli regionali.
Il documento prevede alcune novità: si segnalano in particolare la possibilità per l’Istituto di svolgere attività di supporto tecnico-scientifico e di stage nelle Università; una razionalizzazione e uno snellimento della struttura organizzativa; il rafforzamento dei compiti di vigilanza del Collegio dei revisori e nuovi requisiti di accesso all’incarico di direttore generale. L’Istituto zooprofilattico conta attualmente 593 dipendenti, di cui 235 a tempo determinato.
Tra i dirigenti figurano 62 medici veterinari e 24 biologi e chimici. Il finanziamento dell’ente da parte del fondo sanitario nazionale è stato nel 2012 di 26 milioni di euro; a questo si aggiungono entrate derivanti da progetti di ricerca e da prestazioni rese a favore di enti pubblici e di privati. L’Istituto si occupa di diagnosi delle malattie infettive degli animali domestici e selvatici e cura la sorveglianza epidemiologica delle malattie infettive animali, particolare di quelle trasmissibili all’uomo.