È fondamentale identificare i tumori che rispondono più efficacemente alla chemioterapia, consentendo di evitarla quando non necessaria. Questo è possibile grazie a nuovi test Firenze, 22 Gennaio 2014 – Firenze si schiera dalla parte delle donne affette da tumore del seno e in occasione del Congresso ‘Attualità in Senologia’ che si apre quest’oggi, presenta un test innovativo e rivoluzionario per la definizione della cura su misura per tumori del seno di ‘difficile’ definizione terapeutica.
In Toscana sono ancora elevati i numeri di donne che ogni anno ne sono colpite: all’incirca 3.500 di cui 1.400-1.500 solo a Firenze e nell’area limitrofa. Di questi, circa il 20% sono problematici – allo stadio iniziale, con l’espressione del recettore per l’estrogeno (ER+) o per il Progesterone (PgR+) e linfonodi negativi – e pongono l’oncologo di fronte al dilemma di un trattamento con la sola terapia ormonale o con l’aggiunta anche di chemioterapia. Ma la ricerca fornisce oggi una soluzione: un test genomico innovativo.
Protagonisti sono 21 geni specifici del tumore mammario, di cui ne studia l’interazione e funzionalità individuandone il preciso profilo molecolare. La ‘firma genica’ permette così di identificare non soltanto la candidata ideale a effettuare una chemioterapia traendone un reale benefico, ma anche di rilevare i tumori a bassa probabilità di dare recidive nell’arco di 10 anni dall’iniziale diagnosi. Il test non invasivo, viene infatti eseguito su campioni di tessuto prelevato nel corso di biopsie o del precedente intervento chirurgico, è stato sviluppato e validato su donne con tumori ormonodipendenti in assenza di metastasi ai linfonodi ascellari (dunque quelli dubbi) ed ha il vantaggio di essere effettuato su campioni inclusi in paraffina in un unico centro al mondo.
Questo significa, da un lato, che non necessita di un processo di standardizzazione della metodica e dall’altro che assicura ripetibilità assoluta e uniformità del risultato, ottenibile in tempi irrisori (10-14 giorni). Fondamentale è l’esecuzione prima dell’inizio di qualsiasi decisione al trattamento: grazie al test, in un terzo delle pazienti, l’oncologo ha potuto modificare il piano terapeutico evitando la chemioterapia in un quarto e aggiungendola nel 5-10% delle pazienti. Di questo si è parlato oggi in un Media Tutorial che ha visto partecipe alcuni fra i maggiori esperti nel trattamento e cura del tumore del seno.
“Il congresso che si apre oggi a Firenze – dichiara il prof. Luigi Cataliotti, presidente dell’evento – ha l’obiettivo di presentare le innovazioni diagnostiche, chirurgiche e clinico-terapeutiche per il tumore del seno. Una patologia ancora largamente diffusa sul territorio: solo in Toscana ogni anno vengono diagnosticati all’incirca 3.500 nuovi casi di tumore della mammella, di cui 1.400-1.500 a Firenze e nell’area limitrofa. Oggi l’orientamento è quello di ottimizzare la cura e limitare al massimo l’aggressività del trattamento sia dal punto di vista diagnostico che chirurgico e terapeutico.
La maggiore rivoluzione si è avuta, di recente, proprio nella definizione dei trattamenti post-chirurgici con l’introduzione della medicina molecolare che consente di studiare la firma genica del tumore, fornendo all’oncologo nuovi parametri affinché ogni tumore possa ricevere la terapia più adeguata, e solo se necessaria, anche controvertendo le classiche indicazioni dei protocolli”. “Il test ‘genomico’ – commenta Manuela Roncella, Direttore dell’U.O. Senologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa – non è un esame che si può e si deve fare a tutti.
Esistono infatti situazioni cliniche in cui la decisione terapeutica è già ‘iscritta’ nella natura del tumore, mentre è indicato in quelle situazioni borderline nelle quali non sia del tutto chiaro se procedere a un trattamento meno incisivo sia da un punto di vista oncologico che di controllo locale. A beneficiare del test, oggi potrebbero essere il 20% della totalità delle pazienti”. “La somministrazione del test – dichiara Laura Biganzoli, Responsabile dell’Oncologia Geriatrica del Dipartimento di Oncologia dell’Ospedale Santo Stefano di Prato, Istituto Toscano Tumori – diviene particolarmente importante nei tumori definiti potenzialmente ormonosensibili, nel cui trattamento può insorgere il dubbio se aggiungere una chemioterapia all’ormonoterapia precauzionale che viene proposta di routine”. “Dunque una valutazione molecolare del tumore della mammella – spiega Isabella Castellano, assistente presso il III Servizio di Anatomia Patologica dell’Ospedale San Giovanni Battista di Torino e Ricercatrice presso l’Università della città – è di estrema importanza poiché aggiunge ulteriori informazioni al quadro morfologico e immunofenotipico (caratterizzazione delle molecole, chiamate antigeni, espresse sulla membrana o nel citoplasma delle cellule) della lesione.
Essa diviene fondamentale in caso di tumori con grado istologico intermedio caratterizzati, cioè, da un’elevata espressione recettoriale ma con un coinvolgimento linfonodale metastatico o anche con un solo linfonodo interessato da malattia che pongono un dubbio terapeutico”. “Dati in letteratura – continua la dr.ssa Biganzoli – hanno attestato che la somministrazione del test ha determinato un viraggio nella decisione terapeutica in circa il 30% dei casi. Vale a dire che dall’iniziale ipotesi di un trattamento combinato con chemio e terapia ormonale, il test genomico nel 22% dei casi ha consentito di propendere per la sola ormonoterapia, mentre solo nel 3% dei casi ha suggerito – in senso opposto – di aggiungere anche una chemioterapia.
Ciò fa anche ritenere il test ‘cost-saving’ poiché consente di ridurre la somministrazione di chemioterapia solo ai casi in cui l’efficacia è comprovata con un netto risparmio sia in termini di costi diretti (farmaco citotossico e trattamento dei connessi effetti collaterali a breve e lungo termine della chemioterapia risparmiati) e di miglioramento della qualità della vita per la paziente”. “Il test genomico, al momento – conclude la dr.ssa Roncella – resta ancora una opportunità sulla carta poiché ad oggi in Italia, non è rimborsabile e dunque non accessibile a tutti, ingenerando una diseguaglianza nell’offerta di trattamento.
Occorrerebbe invece, anche nel nostro paese, pensare a delle soluzioni di politica sanitaria - quali stabilire delle linee guida per la selezione delle pazienti a cui il test debba o possa esser proposto, studiare le ricadute in termini di risparmio evitando la chemioterapia ad alcune pazienti, proporre un ticket di compartecipazione alla spesa – che consentano alle donne che ne sono candidate di potere attuare il test con maggiori facilità e possibilità di beneficiare di un trattamento più efficace al proprio tumore con un netto risparmio sia economico che sulla qualità di vita e sulla persona”.