I “finti” prosciutti spacciati per italiani che finiscono sulle nostre tavole contribuiscono lentamente, giorno dopo giorno, a “sfiancare” la resistenza delle stalle toscane. Sono poco più di 1.000 gli allevamenti di suini sopravvissuti all’invasione dei prosciutti stranieri che insieme a milioni di litri di latte, cagliate e polveri hanno provocato, nell’arco di 10 anni, a cavallo tra i due censimenti Istat, la chiusura di oltre 38mila allevamenti tra bovini, ovi-caprini ed altri (-79%). I maiali invece sono poco meno di 150mila alla fine del 2012, erano oltre 200mila nel 2011 (-54%).
Una lenta, dolorosa agonia, che è già costata migliaia di posti di lavoro alla suinicoltura toscana, ed in generale alla zootecnia, che deve fare i conti,ogni santo giorno dell’anno, con massicce importazioni di cosce di maiale senza timbro e nessuna certificazione che una volta varcate la frontiera diventano, come per magia, Made in Italy. Una truffa colossale di cui tutti sono a conoscenza ma a cui nessuno, se non ilmondo degli agricoltori ed allevatori, sembra voler dare una risposta. Ci ha provato ancora Coldiretti (info su www.toscana.coldiretti.it) che al valico del Brennero ha fermato e controllato 170 Tir: il 27% trasportava prodotti alimentari stranieri destinati ad essere venduti come Made in Italy.
Una parte sarà consumata in Italia, un’altra invece dall’Italia partirà – nuovamente – per finire all’estero come Made in ITaly arrecando un danno di immagine e trasparenza. Nei container della vergogna appesi c’erano anche migliaia di cosce di maiale e cassette di semi-lavorati pronti per diventare falsi prosciutti e salumi di bassa qualità, con il concreto rischio di estinzione per i prelibati prodotti della norcineria regionale come il Prosciutto Toscano Dop. Secondo Coldiretti delle 57milioni di cosce di maiali importate dall’estero nel 2012, 5 milioni sono state destinate al mercato toscano: “di quelle cosce di maiala non si conosce niente, sono completamente anonime; – sbotta Roberto Nocentini, Presidente dell’Associazione RegionaleAllevatori – non sappiamo se quei capi sono stati macellati in mattatoi pubblici ed autorizzati, ne tanto meno cosa hanno mangiato e se sono stati effettuati tutti i controlli igenico-sanitari.
Arrivano dalla Germania, dalla Polonia e da altri paesi ma siamo sicuri che sia davvero così?”. Nocentini punta il dito contro l’assoluta mancanza di tracciabilità ed etichettatura: “noi vogliamo, pretendiamo la tracciabilità obbligatoria dei suini – spiega – perché così non possiamo andare avanti. Sono già sparite migliaia di stalle, e di questo passo, senza regole serie, ne spariranno altre”. La mobilitazione di Coldiretti è continuata a Reggio Emilia, centro della Food Valley italiana e in Piazza Montecitorio, a Roma, con la clamorosa provocazione alle Istituzioni di “adottare” i maiali e salvare così le stalle italiane.
In Toscana, come nel resto del paese, l’etichettatura dei prodotti finiti che provengono dalla lavorazione dei maiali come i prosciutti e i salami è “facoltativa”, o come nel caso del Prosciutto Toscano Dop, obbligatoria per tutti gli allevamenti consorziati e per assicurare al consumatore un prodotto al 100% tipico e locale. “Il falso cibo mina la serietà, la qualità dei nostri prodotti e l’altissimo livello dei controlli igenico-sanitari delle nostre stalle; – prosegue Nocentini – abbiamo costruito la fama dei nostri prodotti proprio su queste caratteristiche che con furbizia, inganni, leggi colabrodo, vengono aggirate.
E’ una presa in giro”. Per 1.500 prosciutti stranieri che entrano nel nostro paese, c’è un posto di lavoro in meno gli italiani. E di posti di lavoro la nostra regione ne avrebbe molto bisogno: “la nostra ricetta anti-crisi l’abbiamo in casa, sotto i nostri piedi ma mancano gli strumenti per tutelarla; – spiega Tulio Marcelli, Presidente Coldiretti Toscana – non siamo contrario alle importazioni di prodotti stranieri, ma il consumatore deve essere messo nelle condizioni di sapere e di scegliere cosa mangiare.
Il falso Made in Italy danneggia l’Italia, danneggia l’agricoltura e mette a repentaglio il futuro dei nostri figli”. Gli allevatori della Coldiretti mettono sotto accusa anche gli insostenibili squilibri nella distribuzione del valore dalla stalla alla tavola: per ogni 100 euro spesi dai cittadini in salumi ben 48 euro restano in tasca alla distribuzione commerciale, 22,5 al trasformatore industriale, 11 al macellatore e solo 18,5 euro all'allevatore. Ecco perché la principale organizzazione agricola torna a ricordare la necessità di dare completa attuazione alle leggi nazionale e comunitaria che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti insieme ad invitare i consumatori, già da oggi, ad acquistare prodotti del territorio.