La pazienza, virtù dei saggi indispensabile anche in politica, è al centro di un’affascinante mostra allestita presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, occasione di riscoperta e di ragionamento attorno una celebre opera cinquecentesca, inquadrata nel contesto artistico e socio-politico che questa tela innovativa seppe generare nelle corti rinascimentali. Giorgio Vasari e l’Allegoria della Pazienza, curata da Anna Bisceglia, celebra la valenza artistica e politica di una virtù che già gli antichi tenevano in grande considerazione, e alla quale la stessa tradizione cristiana guarda con favore.
Da parte sua, il Cinquecento fu un secolo tanto affascinante quanto tormentato, caratterizzato da molte contraddizioni, che prima toccò l’apice del libero pensiero con il Rinascimento, e poi vide un brusco cambio di rotta con le prime avvisaglie della Controriforma. Dal punto di vista politico, l’Europa era attraversate da continue guerre, con gli Stati italiani in posizione subalterna fra gli Imperi spagnolo e francese. Tempi difficili, soprattutto per gli italiani, ai quali la saggezza degli antichi veniva talvolta in aiuto ispirando questa o quella condotta politica, della quale le immagini simboliche del secolo, le sue allegorie, sono anche in buona parte il ritratto e la spiegazione. Come afferma la curatrice, allestendo Giorgio Vasari e l’Allegoria della Pazienza, si è seguito il criterio della “mostra dossier”, incentrata su una o più opere della collezione interna, allo scopo di approfondirne gli aspetti stilistici e concettuali.
In questa occasione, si indagano le ragioni della celebrità di un’opera e la cifra della sua novità artistica. La tela, appartenuta alla collezione del Cardinale Leopoldo de’ Medici, ebbe una genesi singolare, che dà la cifra di quali personalità popolassero il XVI Secolo; committente fu Bernardetto Minerbetti, vescovo di Arezzo e ambasciatore di Cosimo I, che interpellò il Vasari affinché desse un volto a quella che il vescovo riteneva essere una delle sue maggiori virtù, in grazia della quale era riuscito a sopportare e ingraziarsi un ricco parente che lo lasciò erede di una cospicua fortuna.
E l’artista concittadino, rispose da par suo, ideando la figura di una giovane donna, né troppo nuda né troppo vestita, incatenata a una roccia, sulla quale cadono minuscole gocce d’acqua che con il tempo la eroderanno, permettendole di riacquistare la libertà. Al di sopra del vaso, che l’artista chiama “clessidra ad acqua”, sta una sfera armillare, simbolo di saggezza e conoscenza Alla realizzazione dell’opera nel 1551, collaborò in veste di pittore, voluto dal Minerbetti, l’artista spagnolo Gaspar Becerra, attivo fra Roma e Firenze, e giunto in Italia assieme a tanti altri suoi connazionali per cogliere i dettami estetici della maniera moderna.
Da parte sua, infonde alla Pazienza una certa generosità di forme, anticipatrici del Barocco, assieme ai toni scuri dello sfondo, quasi una natura inconoscibile e pertanto misteriosa. L’attenzione meticolosa con cui pone mano a particolari quali le decorazioni del vaso da cui cade l’acqua goccia a goccia, o l’acconciatura della giovane donna, così come il drappeggio delle stoffe, contribuiscono allo squisito manierismo della tela, che trova un sublime equilibrio tra forma e significato. Osservando la tela nel suo insieme, si è partecipi di un discorso artistico di caratura europea, che mostra la maniera moderna ai suoi inizi. La novità della tela vasariana sta nell’abbandono della tradizionale iconografia della pazienza, sino ad allora rappresentata come una giovane donna oppressa da un giogo, di ispirazione evangelica, che Vasari aveva realizzata nel 1542.
E la mostra è occasione di confronto fra le due tele, contrassegnate da profonde differenze concettuali. Al fatalismo biblico della prima versione, si sostituisce il pensiero filosofico della calma quale virtù dei forti, e l’atteggiamento tranquillo, di sprezzante indifferenza, dell’allegoria più tarda, esprime tutta la forza della convinzione nei propri mezzi morali. L’attesa come virtù che sfianca l’avversario. Di questa virtù riteneva essere ricco il Duca di Ferrara Ercole II d’Este, che, affascinato dalla tela di Vasari e Becerra, ne commissionò una simile a Camillo e Sebastiano Filippi, quale celebrazione della sua politica temporeggiatrice vocata al dialogo e alla diplomazia. Accanto a queste tre tele, sono esposte altre versioni, bozzetti compresi dell’allegoria della Pazienza, oltre a una lettera di Vasari al vescovo aretino, e busti e medaglie di Ercole II d’Este, anch’egli perfetto Signore rinascimentale alla stregua del Magnifico. Una mostra allestita con eleganza, grazie alle pannellature di un rosso cardinalizio - essendo la pazienza anche virtù teologale -, affiancate da una soffusa illuminazione che permette appieno di godere della maestà delle opere esposte.
Una mostra che richiede tempo e contemplazione, da gustare in ogni singolo particolare di ogni singola opera, nella quale è racchiusa un po’ dell’essenza del pensiero politico rinascimentale. Da non dimenticare come la mostra esplichi il suo fascino anche dal punto di vista filologico, riscoprendo una delle figure espressive più belle della lingua italiana, quell’allegoria che Aristotele definì una «metafora continuata», e che Dante ha elevata alle massime vette poetiche. La mostra è visitabile dal 26 novembre al 5 gennaio 2014.
Tutte le informazioni su orari e biglietti al sito http://www.beniculturali.it. Niccolò Lucarelli