A pochi giorni dal ritorno in scena di Giochi di famiglia, complessa e impegnativa pièce di Biljana Srbljanovic, abbiamo avuto il piacere d’incontrare Valentina Banci, che qui interpreta Milena, iperattiva bambina di guerra, alle prese con un’infanzia troppo difficile. Un personaggio interessante, il suo, se vogliamo inusuale per un’attrice che è solita interpretare donne mature e dalla personalità ben definita. Da un punto di vista drammaturgico, come ha affrontato la bambina Milena? Paradossalmente l’approccio al personaggio - e credo che la cosa valga anche per i miei colleghi -, è stato affascinante e liberatorio; doversi calare in vesti infantili, mi ha permesso di guardare dentro di me, ai giorni della mia infanzia, e per entrare meglio nel personaggio, ho dovuto ripensare ai giochi di allora.
È stato molto importante dal punto di vista emotivo, ricordo i tanti giochi di gruppo, fatti nelle strade o nelle piazze, un modo di vivere l’infanzia molto diverso da quello di adesso, che in un certo senso dava un tocco più “selvaggio” ai nostri giochi, e che in un certo senso si avvicina a quello dello spettacolo, che è comunque molto duro, e comunica angoscia e tristezza. Tuttavia, la sensibilità artistica di Magelli ci ha permesso di recitare sul doppio binario dell’innocenza dell’infanzia e della violenza della guerra.
Il contrasto ovviamente è stridente, e rappresenta uno dei punti di forza dello spettacolo. Venendo alla sua attività di regista, oltre che di attrice, recentemente Fiasco!!! è stato rappresentato al festival internazionale di Skopje, in Macedonia. Cosa le è rimasto di questa esperienza? Anzitutto, è stata una bella soddisfazione professionale, essere presenti a una manifestazione che raccoglie buona parte del teatro contemporaneo europeo. È stato abbastanza casuale il modo in cui ci siamo approdati; la scorsa estate, Luca Cortina, regista pratese attivo nell’Est Europa, ebbe modo di vedere lo spettacolo a San Miniato, e mi propose di portarlo al festival di Skopje.
Inizialmente, ero poco propensa, considerando le difficoltà di traduzione di un testo scritto in autentica lingua toscana, e la necessità dei sottotitoli, che poco si accordano con il ritmo sostenuto dello spettacolo. Invece ho preferito rischiare, e devo dire che il pubblico macedone ha risposto con attenzione e affetto. C’è da dire come nell’Est Europa ci sia ancora una grande attenzione al ruolo dell’attore, al suo porsi in scena, alle emozioni che comunica, e a livello sociale gli viene riservato un posto importante.
Anche per questo, è stato molto gratificante. Come vede, in Italia, la situazione del teatro contemporaneo? Spesso si assiste ad approcci drammaturgici un po’ troppo superficiali. Pensa ci sia, in linea generale, un calo d’ispirazione e d’idee? Indubbiamente, il nostro teatro contemporaneo sta attraversando una fase difficile, ma non credo che la responsabilità sia tutta da ascrivere ai drammaturghi. Intendo dire che, se venisse loro data la possibilità di lavorare a stretto contatto con ensemble di attori, e di potersi confrontare in modo più continuo con il palcoscenico e il pubblico, penso che il loro lavoro ne trarrebbe giovamento.
Ma oggi, purtroppo, gli ensemble non esistono quasi più, a causa degli alti costi di mantenimento, e i teatri investono poco o niente sui giovani drammaturghi, cui manca appunto la possibilità di testare sul campo il loro lavoro; un debutto sporadico, senza un adeguato seguito di repliche, non è un’esperienza troppo istruttiva. Ma del resto, il teatro paga la vergognosa situazione di abbandono in cui versa tutta la cultura italiana. Niccolò Lucarelli