TORINO - Dal 7 al 10 novembre, la città sabauda ha ospitata Artissima, la fiera internazionale d’arte contemporanea che quest’anno ha festeggiata la ventesima edizione. L’Oval del Lingotto ha accolte ben 190 gallerie, delle quali 60 italiane, quaranta i Paesi coinvolti. Numeri importanti per una rassegna che punta a promuovere Torino quale capitale della scena artistica contemporanea, segno evidente dell’attenzione che il Comune, la Provincia e la Regione stanno dedicando alla riconversione della città da grande centro industriale a grande centro turistico e culturale. All’interno di Artissima cinque sezioni: Main Section, è dedicata alle più importanti gallerie a livello mondiale; New Entries è invece la vetrina che ospita le giovani gallerie più interessanti sulla scena; Present Future è una sezione che ospita i singoli artisti emergenti, presentati dalle loro gallerie di riferimento; infine, Back to the Future è dedicata agli artisti attivi fra gli anni Sessanta e Ottanta. Come spiega la direttrice Sarah Cosulich, Artissima è una fiera internazionale che guarda lontano, e vuole dare forma al Sistema Italia, portando a Torino artisti, idee, e importanti ricadute economiche.
In Italia, il mondo dell’arte è in sofferenza, ma nonostante, o forse proprio per questo, sono tante le gallerie che investono in promozione, e Artissima vuole favorire l’incontro fra operatori dell’arte e collezionisti, giunti quest’anno anche dall’America Latina. Inoltre, la ricaduta economica in città è stimata in 3,5 milioni di Euro, che interessano alberghi, ristoranti ed esercizi commerciali. Si registra però un calo rispetto agli anni precedenti, ma più che alla crisi, l’Assessore regionale alla cultura ne individua le cause negli insufficienti investimenti sul Castello di Rivoli, centro strategico nel circuito dell’arte contemporanea piemontese e non solo, che deve essere al più presto reinserito al centro dell’attenzione economica e mediatica.
Entro il mese di dicembre, quindi a breve, dovrebbero essere annunciati il nuovo direttore, e il nuovo piano di rilancio definitivo del museo. Intanto, grazie alla collaborazione interistituzionale fra Regione, Provincia e Comune, quest’anno è nata One Torino, che fino al 12 gennaio coinvolge la GAM, il Castello di Rivoli, Palazzo Cavour e le Fondazioni Merz e Sandretto Re Rebaudengo. Si tratta di un evento internazionale di ampio respiro, affidato a sette curatori italiani e stranieri, e che fa di Torino una sorta di grande museo senza soluzione di continuità, coinvolgendo oltre cinquanta artisti emergenti o già affermati.
Un’iniziativa che estende nel tempo l’atmosfera di Artissima, e ne potenzia la forza attrattiva. Inoltre, conferenze e presentazioni editoriali hanno affiancato Artissima, arricchendo ulteriormente la vasta offerta artistica. Se Artissima funziona in quanto iniziativa di promozione della città di Torino e della sua cultura, e in quanto strumento d’innesco di meccanismi economici per il territorio e l’Italia tutta, altrettanto non si può dire se guardiamo criticamente alla qualità delle opere d’arte proposte dagli operatori del settore.
E qui entriamo nel delicato campo delle prospettive dell’arte contemporanea, che appaiono sempre più confuse. Per una strana coincidenza, nei giorni di Artissima, al Teatro Carignano si è dato Il teatrante, interessante e ironica pièce di Thomas Bernhard sul teatro contemporaneo; l’incerta e confusionaria commedia che il protagonista Bruscon si ostina a mettere in scena, è metafora di un’intera realtà contemporanea che brancola senza idee, traboccante però di personaggi che danno l’impressione di averne. L’arte figurativa sta quasi scomparendo, relegata in ambiti ristretti, e praticata da artisti poco celebrati.
La tendenza degli ultimi venti anni è che anche l’arte si è piegata a seguire la moda e il mercato, così che gli artisti più celebrati sono coloro che riescono a spuntare grandi cifre. Personaggini come Jeff Koons ben sintetizzano come il mondo dell’arte sia oggi una grande vetrina. Pisa e Milano in questo periodo stanno celebrando il genio di Andy Warhol, il cui relativismo artistico ha dilatati quasi all’infinito i confini dell’arte, che è diventata un prodotto di massa. Se l’intuizione originale merita sempre rispetto, disgraziatamente, sulla scia di Warhol, si sono imposti sulla scena artistica mondiale figure sempre meno professionali, che incorniciano l’arte (o quello che si presume tale), di parole e patinature, tralasciandone l’essenza.
L’arte è ormai un grande circo mediatico, dove la presunta originalità lascia spazio alla ripetitività. Si parla di iper-realismo, ridefinizione dello spazio, nuovi approcci alla realtà; tante espressioni, che però difettano nella sostanza. La rappresentazione della realtà ne diviene la deformazione, in nome della rarefazione del concettuale, una strada aperta da Duchamp e che oggi mostra evidenti segni di stanchezza. Non è semplice oggi, per un curatore, realizzare un’esposizione contemporanea di effettiva qualità; lo abbiamo visto a Venezia, dove il Palazzo Enciclopedico di Giomi ha al suo interno forti discontinuità.
La responsabilità non è tutta dei curatori. Occorre ripensare radicalmente il concetto di arte già negli atelier: si parla di oggetto e di superficie, di struttura e sovrastruttura, e a mancare è la riflessione sull’uomo, sul suo essere e su quella bellezza estetica che lo circonda, ma dal quale l’arte sembra allontanarlo. Infatti, il concetto di estetica sembra essere l’ultimo pensiero degli artisti. Se nelle scuole si tornasse a insegnare seriamente la storia dell’arte, con tutta probabilità si formerebbe un pubblico di estimatori (e perché no, anche compratori), molto più competente, e ciò potrebbe contribuire a un marcato rinnovamento della scena artistica, affinché si sganci dalle logiche di mercato, e si concentri su estetica e significati. È sintomatico che fra le varie rassegne all’interno di Artissima, le riflessioni più interessanti arrivino da Back to the Future, dedicata all’arte del recente passato, che spesso trova sincretismo con gli avvenimenti politici.
Un’arte engagée, della quale oggi, almeno in Europa rimangono poche tracce. Le opere di Gilardi e Mulas - manifesti, fotografie, serigrafie -, risalgono al cruciale ’68 e ai primi anni Settanta, e rappresentano, in forma di diario visivo, un duro attacco alla corruzione della classe politica italiana dell’epoca, oltre a essere un documento della contestazione. Ma quello che oggi resta di quelle opere, è la loro attualità, nel senso che sollevarono problematiche esistenti ancora oggi. Un altro esempio di coscienza politica nell’arte, lo fornisce Geng Jianyi, eclettico artista che sin dagli esordi prese le distanze dal Realismo rivoluzionario dettato da Pechino.
Pertanto, le sue opere, dipinti o istallazioni che siano, puntano il dito contro l’irregimentazione dell’individuo voluta dal regime comunista, contro il rigido controllo dello stato di polizia, e denunciando appunto la spersonalizzazione del cittadino cinese. Un approccio che l’Occidente sembra aver lasciato da parte, ed è sintomatico come, alla Biennale di Venezia, i padiglioni più interessanti fossero quelli asiatici e mediorientali; da una parte, si fa arte in nome del mercato, dall’altra si utilizzano forme espressive per dare voce a popoli che vivono situazioni drammatiche.
Due tendenze diametralmente opposte, specchio della fase contraddittoria che l’umanità sta attraversando. Niccolò Lucarelli