di Niccolò Lucarelli PRATO- In un’Italia afflitta dalla gerontocrazia, e dove il ricambio generazionale è ancora un tabù, fa piacere incontrare giovani protagonisti come il pratese Alessio Zipoli, un operatore culturale “ibrido”, attivo tra il mondo delle arti visive e quello della musica. Storico dell’arte e critico musicale, dal 2009 al 2012 è stato caporedattore della rivista di musica italiana L’Isola. Nel settore artistico si è occupato della sezione didattica e della comunicazione presso la Galleria d’arte moderna di Milano e di progettazione di mostre per la Soprintendenza di Milano.
Rientrato a Prato da pochi mesi, dove ha curato la mostra “Alter Ego” per la Provincia di Prato, ci parla della sua esperienza. Dal tuo percorso professionale, si nota la conoscenza di realtà molto diverse tra loro. La prima parte del mio percorso è partita da Firenze. Ero uno studente d’arte, ma allo stesso tempo scrivevo e suonavo in alcuni gruppi musicali post-punk. Era la prima metà degli anni zero, la consapevolezza era ancora lontana, ma era già evidente quella sorta di “bipolarismo disciplinare” che mi accompagna tutt’ora.
A Firenze ho ricevuto molti stimoli dal contatto diretto con culture extra-nazionali, un’apertura che la città ha sempre offerto, ma che ovviamente induce a partire per cercare nuovi stimoli altrove. È stato in quel momento che ti sei trasferito a Milano? È stata decisione quasi “epicurea”… a metà strada tra la città dei miei ideali sociali e politici – Bologna - e l’affacciarsi all’estero. Milano dà la possibilità di grande velocità di spostamento, e l’occasione di poter visionare e comparare molta della migliore produzione artistica nazionale, oltre ad un primo, dignitoso grandangolo sulle tendenze internazionali.
Si tratta di un laboratorio continuo, di un osservatorio che a differenza di Roma non si trova al centro, ma sopra il Paese. Milano è una piattaforma alimentata dai tanti vasi capillari di una nazione: è questo a offrire una comprensione realistica delle regioni, dei circuiti commerciali, ma anche delle tendenze culturali in atto, che arrivano cinque minuti prima che nel resto d’Italia. Negli anni milanesi eri attivo alla GAM. Come hai dato seguito all’esperienza museale? Ho iniziato una collaborazione con la Soprintendenza di Milano, diventando assistente della soprintendente Sandrina Bandera.
In quel momento la priorità era l’acquisizione di un metodo professionale “scientifico”, e per farlo non ho esitato a tornare su un ruolo secondario: Lavorando a livello regionale ho avuto a disposizione gli strumenti che cercavo a livello di curatela, per la progettazione delle mostre. Da una parte cooperare all’interno di una grande macchina culturale insegna l’importanza della professionalità della squadra, dall’altra ti arricchisce in una sorta di sindrome di Stendhal continua… In che senso? Non capita tutti i giorni di poter mettere mani e mestiere su una collezione di livello internazionale come quella della Pinacoteca di Brera, l’organismo museale direttamente gestito dalla Soprintendenza: quando impari a pianificare progetti espositivi su Giovanni Bellini o Tintoretto, su Carlo Crivelli o Lorenzo Lotto, poi torni a confrontarti in maniera diversa sia con l’artista contemporaneo che nelle commissioni da curatore indipendente.
Più rispetto verso l’artista, più responsabilità e coscienza critica nel tuo lavoro. Tornando sul versante accademico, hai concluso il biennio specialistico in Storia e critica dell’arte [presso l’Università Statale di Milano] con quella che è stata la prima tesi sulla storia del Centro Pecci di Prato. Probabilmente è stato un primo segnale forte della tua volontà di confrontarti nuovamente con Prato, un riavvicinamento che ha portato poi al tuo ritorno in pianta stabile. In questo primo anno in città, come definiresti il clima culturale pratese? Nonostante difficoltà “storiche” come estinzione dell’’industria tessile e l’atomizzazione sociale, ho trovato un buon margine d’azione, almeno a livello d’iniziative culturali.
Molte barriere politiche si sono annullate, ma devono essere proposti i progetti giusti, che tengano conto delle esigenze della città, dei suoi margini di produttività, del gradimento e consolidamento delle iniziative svolte in passato. Da un punto di vista personale, per tentare di capire la Prato contemporanea a livello artistico, ho prima svolto un progetto di ricerca per l’Università Statale di Milano sulla storia del Centro Pecci, poi mi sono fatto coinvolgere da altri storici dell’arte locali in indagini e perizie sulle emergenze artistiche del territorio, realizzando nel frattempo laboratori didattici nelle scuole che mi dessero un polso sulla formazione locale in campo artistico.
Nel frattempo ho iniziato a partecipare a questa grande sensibilità “corporativa” - da parte di associazioni e gallerie private - verso ogni fermento dell’attualità, così tipico della Prato di oggi. Sono entrato nella redazione della rivista Skeda, un collettivo composto da operatori artistici italiani e stranieri attivi nella promozione culturale sul territorio, senza limiti di frontiere disciplinari o etniche. Un’esperienza esaltante, dove sono stato accolto anch’io da “straniero”, in una disponibilità reciproca a condividere il bagaglio di idee diverse che ognuno porta con sé. Tra i progetti più recenti merita di essere menzionato Alter Ego, una mostra che è divenuta un piccolo caso mediatico: nonostante il budget ridotto, ha raggiunto quasi mille visitatori in tre settimane di apertura.
Com’è nata e cosa ti ha lasciato? Da quasi un decennio la Provincia di Prato organizza ogni anno “Alter Mundi”, un festival dedicato alla multiculturalità nel territorio pratese. Quest’anno voleva inaugurarlo con una mostra rappresentativa delle varie etnie presenti in città. Sono stato chiamato da Filippo Bigagli di Caos Fonderia Cultart, che cercava un curatore per mettere a punto un progetto efficace e coerente a quanto la Provincia stava cercando. Siamo andati alla ricerca dei più significativi artisti stranieri operanti sul territorio, e li abbiamo uniti e messi a confronto con significativi artisti pratesi che vantano anche presenze all’estero.
È nato così “Alter Ego”, il tempio embrionale di quello che rappresenta “Alter Mundi”. In una chiesa sconsacrata divenuta officina abbiamo allestito una collettiva che abbiamo definito “il sancta sanctorum della diversità culturale”: il pubblico è rimasto meravigliato dalle opere di artisti vicini ma non conosciuti, e dall’indubbio fascino di una location così inusuale. Infine ha sortito il suo effetto l’idea delle aperture notturne nei weekend, in una città dove non sono abituati nemmeno a quelle serali.
I giovani capitavano alla mostra dopo un concerto o dopo un giro nei pub, e a quel punto restavano, addirittura tornavano il weekend successivo portando con sé altri amici. Non avevano mai visto una mostra aperta di notte in centro storico a Prato. Ti ritieni soddisfatto della scelta del ritorno? Puoi già fare un bilancio? Per un bilancio possiamo aspettare, tutto è ancora molto fresco, ma vorrei continuare su questa linea, tra ricerca di confronto multidisciplinare e rafforzamento di un’identità metodologica.
Sicuramente sono stimolato ed emozionato dell’essere “qui ed ora”: da un punto di vista pubblico e istituzionale, la stagione 2013/2014 sta portando Prato in direzione di un vero giubileo artistico, con le riaperture di due importanti musei rinnovati e di rilevanza nazionale come il Museo Civico di Palazzo Pretorio e il Centro Pecci. Già quando ero a Milano avevo realizzato il potenziale irripetibile per la città, ed è una vera soddisfazione essere tornato in tempo per offrire il mio contributo e le mie competenze, in un momento magico per l’arte a Prato.