Inventarsi una nuova identità e vivere una seconda occasione. E' questo il tema de “il mondo di Arthur Newman", il film di Dante Ariola, interpretato da un ottimo Colin Firth. Un racconto “on the road” sulla seconda opportunità, colta da un uomo di mezz'età che vuole abbandonare la sua routine quotidiana. La sua esistenza è fatta di giornate uguali, di recriminazioni e del disprezzo dell'ex moglie e del figlio, così Wallace Avery decide di scomparire, inscenando un finto suicidio e assumendo l'identità di Arthur Newman. Questa sorta di pirandelliano Mattia Pascal ha in mente di costruire una nuova esistenza come istruttore di golf e si mette in viaggio per incontrare chi potrebbe dargli quest’opportunità.
Il suo viaggio è costellato di motel della provincia americana e sua compagna diviene un’altra anima fragile in fuga da se stessa, interpretata da Emily Blunt. Il loro rapporto è prima diffidente, poi diventa coinvolgente: sono entrambi in fuga da una vita che non amano e cercano il divertimento un po’ effimero, la rottura delle regole. I due s’intrufolano nelle case vuote, frugano negli armadi, indossano i vestiti. Insomma continuano a ricercare nuove identità, e a vivere vite degli altri.
Il film che si fa apprezzare per la sintonia dei due protagonisti Firth e Blunt, è ricco di spunti interessanti e riflessioni. E' difficile assumere una nuova identità credibile, perché è sufficiente una ricerca su google per verificarla. Ed è forse impossibile suggerisce il regista, trascendere la nostra esistenza individuale che è relazione con gli altri. Il film rimane un po' sospeso sulla direzione da prendere, per virare, forse, troppo decisamente verso una soluzione che conduce a un lieto fine di maniera. Il Film dell'esordiente Dante Ariola, che viene da una grande esperienza come autore di spot commerciali, è ricco di spunti interessanti si fa apprezzare per riflessioni, per così dire, pirandelliane, e non manca di riferimenti cinematografici a una vasta filmografia del genere, da “Professione Reporter” di Michelangelo Antonioni a “Ferro 3” di Kim Ki -duc.
Il limite del film è forse nella chiusura un po' moralistica e conservatrice, che inficia forse gli spunti dedicati al coraggio di reinventarsi, che è l'elemento più significativo di questa intrigante storia. Alessandro Lazzeri