Sarà inaugurata venerdì 27 settembre alle 17.30 nello Spazio mostre Valentini (via Ricasoli 6) l'esposizione "Chi è di scena", dedicata ai primi dieci anni del Teatro Metastasio dopo la riapertura del 1964. La mostra, curata da Niccolò Lucarelli e allestita da Leonetto Vignali, è organizzata da ArtInPo’ e Asterisco in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del Comune. Il Metastasio è un monumento della cultura pratese, e rievocarne i primi dieci anni dalla riapertura del '64, significa ripercorrere un pezzo di storia della città, vista da quell'osservatorio privilegiato che è il palcoscenico.
E appena oltre il sipario, una città alle prese con il boom industriale, il '68 e gli anni di piombo, un mondo dinamico e complesso, che trovava eco nel lavoro di tanti artisti. La contestazione si fece sentire anche a Prato, nonostante la città fosse perennemente "distratta" da quella cultura del lavoro che era stata la forza propulsiva per l'industria tessile. La mentalità dei giovani cambiò d'improvviso, non sempre in meglio. E quegli "anni di piombo" che ferirono l'Italia, ebbero anche in città una loro eco sanguinosa, con l'omicidio del notaio Spighi.
Una storia strana, assurda, per certi versi ridicola per come vi si giunse, e conclusa con la morte di una persona onesta. Ma com’era accaduto in tutta Europa, per molti la contestazione era stata solo una moda, anzi una fase di passaggio all’apparenza necessaria. Riparlare oggi del teatro di quegli anni, significa riaprire un discorso su di noi, sulla città e sull'Italia tutta, che ne uscì profondamente trasformata: Prato abbandonò la sua dimensione ancora contadina e artigiana per lanciarsi definitivamente in quella industriale, e d'improvviso la città sembrò più grande, forse troppo.
Il Metastasio ospitò i più grandi nomi del teatro, primo fra tutti Giorgio Strehler, il cui lavoro rientra nei canoni della regia critica, che pone al centro la storia, l'uomo e le sue azioni. I giganti della montagna, nel ’67, ben riassumono i suoi anni pratesi. Lasciò il segno anche Franco Zeffirelli, intellettuale atipico nel panorama italiano, che allestì nel ’66 quel Romeo e Giulietta incentrato sul contrasto fra generazioni, che tanto aveva fatto discutere all’Old Vic di Londra sei anni prima.
E ancora, degno ospite del Metastasio è stato quel Roberto Guicciardini il quale, oltre che attento cultore del teatro italiano, fu il primo a portare sul palcoscenico pratese un testo del mitteleuropeo Odon von Horvath, quella Notte all'italiana che ha gettata una prima luce su un autore a torto dimenticato. È stato anche regista di spettacoli quali Perelà uomo di fumo, tratto da Palazzeschi, e Candido, da Voltaire. Luca Ronconi ha legato il suo nome alla città laniera fondandovi il Laboratorio di progettazione teatrale, attivo dal 1975 al 1979 e ricordato ancora oggi come una vera e propria università del palcoscenico, specchio di un'epoca di transizione.
Esemplare, in lui, l’inesauribilità delle risorse drammaturgiche, delle potenzialità del testo per la scena. Straordinario il suo allestimento de Il candelaio, a seguito del quale aspre critiche furono mosse al regista dalla stampa cattolica, che lo accusava di un approccio strumentale verso il testo di Giordano Bruno. Dandy del teatro affine alla follia, Carmelo Bene è stato una delle figure più interessanti del teatro "inappartenente". Nel 1966 allestì a Prato un caustico Pinocchio. Un teatro, il suo, che si fa carico dell'angoscia dell'umanità, immergendola però in un bagno d'ironia meridionale, certe volte fatalista, certe altre così rabbiosa da scatenare una violenza scenica senza pari.
È la parola il vero spazio del suo teatro, alla quale dà forma con gioia, crudeltà e anche disgusto. Memorabile la sua intepretazione del poeta russo Majakowskij, nel 1968, con la sola compagnia di uno Steinway nero e di alcune bottiglie vuote sparse sul palco; uno spettacolo che si cala nel dramma di un uomo, e di riflesso di un'intera epoca. All'estremo opposto del dandismo, stanno i guitti scanzonati che irridono una società tronfia e dominata dal denaro. Uno di questi, Dario Fo, giunse al Metastasio nel corso della prima stagione della riapertura, nel Marzo del 1965.
Sospesi fra mito e realtà, i suoi caustici spettacoli hanno sempre suscitati accesi dibattiti. A Prato, divertì e impressionò con La colpa è sempre del diavolo, e Settimo ruba un po’ meno. Ma la cifra più autentica del teatro pratese, la fornisce quel Teatro Studio che nacque per iniziativa di due personalità delle quali la cultura cittadina non ha ancora trovati i successori: Montalvo Casini e Paolo Emilio Poesio, direttore del Metastasio il primo, critico raffinato della vecchia scuola il secondo, intellettuali onesti e un po' utopisti, per i quali la cultura, e il teatro nello specifico, costituivano una ragione di vita.
Nell'Ottobre del 1965, introdussero al Ridotto un gruppo di giovani teatranti, fra cui Toni Rossati, Marcello Bartoli, Daniela Guarducci, e altri, già attivi su scenari minori. Quattro gli spettacoli firmati dal Teatro Studio: Magia rossa, Quella specie di cancro, Le trame dell'amore e del caso, Tragedia nuda. Quattro allestimenti che entrano nel contemporaneo, proponendo caustiche chiavi di lettura di una società controversa come quella della metà degli anni Sessanta. 1964-1974. Un decennio che ha visto il Metastasio fra i primi teatri d'Italia per la qualità dei suoi spettacoli, per i talenti che ha allevati al suo interno, per l'intelligenza della gestione.
Merito, è doveroso ricordarlo, di Montalvo Casini: uomo di cultura a tutto sesto, aveva il dono di capire le persone e riconoscere i talenti quando li incontrava; intuì all'istante l'importanza del Teatro Studio, e buona parte del teatro italiano contemporaneo è nata grazie a lui, che seppe capirla e farla crescere, come oggi difficilmente avviene. di Niccolò Lucarelli