Le bianche linee architettoniche del Padiglione Venezia, nei Giardini, dove da poco è iniziata la famosa kermesse dedicata all’arte, sono incise da potenti corde bianche, tese, che tracciano dei segni, dividendo e contemporaneamente valorizzando ogni singolo spazio dell’edificio. Ho davanti a me l’artista che ha creato questa installazione delicata ma forte, elegante ma significante, Mimmo Roselli, fiorentino di adozione, e una vita dedicata all’arte. Mimmo quando e come ha iniziato la sua attività artistica? “Devo dire che la mia prima mostra l’ho fatta proprio a Venezia, nel 1986, da professionista, perché avevo fatto qualcosa quando ero molto giovane, però l’entrata nella professionalità è stata nel 1986 alla Galleria Il Traghetto, una galleria famosa di Virgilio Guidi, quindi un buon inizio.
E poi, via via, si è sviluppata, prima in Italia, e poi, quasi subito, all’estero”. Mimmo si parla degli anni? “Fine anni ottanta. Avevo fatto una mostra importante. L’apertura del Museo di Arte Contemporanea a Bergamo. Ero stato invitato a questa mostra, però poi subito dopo, Germania, Paesi dell’Est. Ho fatto un’importante mostra a Praga, con Ivan Ouhel, e poi piano piano il raggio di azione si è espanso e ultimamente lavoro abbastanza negli Stati Uniti, a New York, dove ho fatto una mostra in aprile scorso, a Haifa in febbraio, poi dopo l’apertura di questa Biennale sarò a Sofia, per una mostra.
Ho un grande progetto in Bolivia. Ho aperto una scuola, di arti visive e musica, nella foresta boliviana”. Mi spieghi di che cosa si tratta? “Il progetto boliviano nasce nel 1985, durante il mio primo viaggio in Bolivia, poi, siamo nel 2013, non ho mai smesso di andare là”. Vai tutti gli anni in Bolivia? “Tutti gli anni. Sto là un mese, un mese e mezzo, due mesi, secondo la necessità. Questo lavoro lo porto avanti con i Guarani, che sono una popolazione indigena.
Pian piano è nata questa idea e stiamo costruendo il monastero dove sarà la scuola. Per ora stiamo lavorando sulla base e quando il monastero sarà finito, diveterà un’accademia che accoglierà studenti che si impegneranno a livello artistico. Comunque tornando a come ha proceduto il mio lavoro, all’inizio era solo lavoro pittorico che si è evoluto negli anni, riducendo sempre di più, secondo il mio concetto, che il meno è il meglio, però sempre nell’ambito di ottimi risultati. Questa riduzione è andata a significare solo segno e fondo e poi comunque la mia pittura era solo l’immagine di grandi spazi, quindi rientrare nello spazio era una cosa già matura, per cui sono uscito nello spazio con il segno nell’ambiente.
Il fondo è l’ambiente. Chiamo questi lavori sculture-installazioni”. Da quanto tempo fai queste sculture-installazioni? “La prima l’ho fatta nel 2002, nel Museo di Heidelberg, poi ne è seguita una a Bergamo che poi doveva arrivare anche al Pecci, ma all’ultimo momento cambiò il direttore e non se ne fece più di niente. Da allora continuo a fare queste sculture-installazioni, in varie parti del mondo, alla mia prima Biennale di Polonia, a New York ne ho fatte in tre o quattro posti, e poi in varie gallerie tra cui una privata con cui collaboro che è una galleria storica, Ok Harrys, work of art, di Ivan C.
Karp, che purtroppo ci ha lasciato l’anno scorso, era quello che collaborava con Castelli, poi litigarono e lui mise una sua propria galleria. Ho fatto una grandissima installazione per la mostra “Art on Lake” a Budapest, è stata una mostra della Comunità Europea, e tante altre cose”. Mimmo qual è la sua poetica? “La mia poetica come dicevo prima: il meno è il meglio”. Io ricordo queste linee sottili che tagliavano la tela. “Ancora è così”.
Ora le linee fendono lo spazio, lo delimitano. “Diciamo che le mie sculture-installazioni vogliono trasformare lo spazio, sia all’esterno, come in questo caso, ma anche all’interno, come ho fatto dentro il Padiglione Venezia. Io lavoro con lo spazio cercando di mostrare alcuni aspetti che l’occhio non vede, quindi in queste linee, che sono punti nello spazio consento agli altri di vedere alcune cose che altrimenti non si notano. Il mio lavoro è sempre stato comunque legato all’uomo.
Queste linee, sono il tracciato della vita di un uomo, il suo percorso, per questo sono linee incise, nella preparazione della tela. Da questo taglio, il segno, si è evoluto, perché, come si può vedere nella tela esposta all’interno, oltre a essere così sottile, si è anche un po’ allargato, e quindi si è arricchito di sensualità”. Quanto della tua attività precedente, che aveva a che fare con gli esseri umani, è nella tua arte? “Bè sono medico, anche se ho smesso completamente l’attività nel 1991”.
Ci deve essere un pensiero sottile che congiunge un’attività professionale a un’altra. “La mia filosofia, anche quando facevo il medico, è sempre stata quella di fare meno possibile, nel senso del necessario, se non erano veramente malati, alla gente non prescrivevo medicine. L’altro aspetto legato alla mia precedente professione è il senso etico, molto forte, che ho voluto trasferire nel mio lavoro artistico. Estetica ed etica devono andare di pari passo.
E l’etica è sempre legata alla non troppo invasività, alla sottigliezza del lavoro, all’eleganza. L’eleganza e la bellezza sono necessarie in questo lavoro. L’arte contemporanea, ha avuto un periodo molto lungo in cui c’era bisogno di qualcosa di molto forte, e credo che a questo punto si può arrivare agli uomini, e far capire che è meglio usare un approccio con le cose della vita, meno aggressivo, perché alla fine l’aggressività che si produce si rivolge contro. Come nell’attuale situazione economica e sociale”.
Una parola su questo suo intervento alla Biennale. “Questo mio intervento vuole rompere con gli schemi. Nel senso che questo lavoro va a finire nei giardini pubblici retrostanti, quindi non questa chiusura assoluta, che il mercato dell’arte vuole, anzi ho portato l’arte, oltre lo spazio definito di questa mostra, e spero che la gente capisca. Il curatore di questa Biennale si è espresso con la capacità di mettere in luce alcuni aspetti del mondo dell’arte visiva, con una certa varietà, naturalmente puntando sulla sua tematica, mostrando varie modalità di approccio al mondo dell’arte e riscoprendo anche nomi che non erano conosciuti”. Cecilia Chiavistelli