Firenze. La questione dell'Iva che indebitamente e' stata pagata per il servizio di raccolta rifiuti vigente la TIA, sembra non finire mai ed e' diventata una sorta di cartina al tornasole con l'uso della quale si evidenzia il sistema giustizia del Belpaese. La vicenda e' nota, e in diversi, compresi giudici di vario livello, hanno detto la propria, ma non se ne riesce a venirne fuori perche' lo Stato, dovendo soccombere a questo illecito prelievo rimborsando svariati milioni di euro prelevati in questi anni, fa le classiche orecchie da mercante. Situazione in cui il nostro Belpaese e' abituata un po' dovunque e che, sempre dovunque, genera il male dei mali: la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni e l'incremento del “fai da te” anche li' dove non dovrebbe essere consentito come - valga come esempio per tutto - stabilire quante e quali tasse versare o meno. Oggi registriamo una sentenza del tribunale di Genova che, in appello ad una sentenza di un giudice di pace, da' ragione al ricorrente, cioe' l'azienda dei rifiuti di quella citta' (AMIU), stabilendo che l'IVA sulla TIA deve essere pagata, e la richiesta di rimborso da parte del contribuente non e' legittima.
Sentenza che si affianca a tante altre di segno opposto e qualcun'altra simile. Ma cio' che stupisce in questa sentenza genovese e' un passaggio in cui, relativamente alla sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito il carattere di imposta della TIA e quindi la non debenza dell'IVA, i magistrati scrivono di quest'ultima: “e' indubbiamente suggestiva, ma non decisiva”, per cui l'Iva e' dovuta essendo il servizio disciplinato dalla TIA al pari di qualunque altro sevizio reso con l'aggravio del valore aggiunto. Certamente l'Italia e' il Paese in cui, per esempio, un referendum abroga il finanziamento pubblico ai partiti, e il giorno dopo il legislatore fa una nuova legge che finanzia i partiti.
Oppure un referendum abroga il ministero dell'Agricoltura, e il giorno dopo il solito legislatore istituisce il ministero delle Politiche Agricole. Ancora: un referendum stabilisce che i magistrati debbano avere una responsabilita' civile, e il legislatore dice “si' e' vero, ma i danni dei magistrati debbono essere pagati dallo Stato”. Qualcuno lo ha chiamato il Paese di Arlecchino, offendendo cosi' la famosa maschera di Carnevale. Noi lo chiamiamo semplicemente il Belpaese: cioe' quello dove una sentenza della Corte Costituzionale (il nostro massimo organo giuridico e di controllo) viene giudicata da un giudice di rango inferiore come “suggestiva ma non decisiva”. C'e' qualcuno che si stupisce ancora quando il cosiddetto cittadino comune, di fronte al dovere di far fronte alla fiscalita' dello Stato, dice qualcosa come “suggestiva, ma non decisiva”? Vincenzo Donvito, presidente di Aduc