È passato oltre un secolo dalla nascita del Varietà come genere, e nella più assoluta imprevedibilità, quasi all’insaputa sua e nostra, è diventato nel volgere degli anni, passando anche accanto alle grandi Avanguardie del Novecento europeo (Futurismo compreso), un fenomeno culturale autonomo per originalità di idee, stimolanti confronti e provocazioni, commistioni di linguaggi (segnatamente di prosa e musica) che hanno talvolta cambiato la fisionomia del teatro in Europa. Se potessimo accanto a ricordi, nostalgie, rimpianti inevitabili nei confronti del “varietà”, cogliere anche quei fermenti, quelle sorprese, quelle vitalità di una storia ancora incompiuta, il risultato del nostro lavoro di palcoscenico, delle nostre “prove”, potrebbe essere certo utile, forse anche felice, perché consentirebbe alcune riflessioni parallele al “divertimento”. Esiste in alcuni di noi la memoria storica o il lontano ricordo di un mondo frequentato mentre già stava cambiando.
Questa preziosa memoria è stata il nostro filtro, ma anche e soprattutto lo stimolo per lavorare con emozione, Massimo Ranieri e io, a uno spettacolo che potesse avere come grande testimone di questo mondo così ricco Raffaele Viviani e il suo teatro, le sue parole e il suo canto scenico, privilegiando così quella parte che nasceva o si sviluppava in quel vitalissimo giacimento culturale e musicale che, per il Varietà, erano la Napoli dei quartieri e quella parallela, urbana, aperta alla influenza e alle commistioni con il Varietà europeo (e soprattutto con la Francia). Come osservava Vasco Pratolini: “Viviani non sta alla finestra, ma sulla strada da dove nasce… e il popolo napoletano da pretesto diventa soggetto di poesia e, rappresentandosi, si rivela a se stesso, grida le proprie ragioni, si giudica e si conforta”. C’era in quegli anni (come c’e oggi) un forte desiderio di cambiamento, di mettere in discussione con ironia, con lo scherzo, con la sorpresa, con il distacco anche malinconico, talvolta con la satira, lo stesso fare teatro.
E del resto, gli studi che si sono fatti e che si vanno facendo in Italia e in Europa sulla musica “pop”, trovano una felice testimonianza in Viviani e questo spettacolo ne è anche un voluto riconoscimento, che non casualmente parte dalla nostra presenza al Maggio Musicale Fiorentino. In questo Viviani Varietà abbiamo pensato al viaggio che nel 1929 Viviani e la sua compagnia avevano fatto sul piroscafo Duilio da Napoli a Buenos Aires per una lunga tournée nel Sud America, e abbiamo voluto immaginare le prove dello spettacolo realmente destinato agli emigranti italiani che con loro attraversavano l’oceano per un avvenire incerto da costruire, confortati in questo anche da inedite testimonianze scritte, proprio durante quel viaggio, dallo stesso Viviani. Così, durante le prove, ci è parso qualche volta di rivedere la grande forza e il disperato ottimismo di chi come Viviani in quegli anni non si arrendeva alla crisi economica, né allo schermo che calava sulle teste dei “comici” troncando lo spettacolo dal vivo. Per questo mi auguro che il nostro Viviani Varietà, accanto al “divertimento”, possa emblematicamente riallacciarsi agli interrogativi che oggi una parte del teatro si va ponendo sul rapporto con le tecnologie più avanzate e con gli altri mezzi di comunicazione artistici e tecnici; ma anche all’urgente necessità per tutti noi di “non stare alla finestra ma sulla strada”, per il futuro del nostro mestiere. Maurizio Scaparro I CANTI SCENICI DI VIVIANI La produzione vocale di Viviani rappresenta un singolare contributo alla musica dello spettacolo popolare italiano del Novecento. Nei suoi canti scenici rivivono i timbri e i gesti degli esterni popolari napoletani (canti rituali, di festa, di lavoro, di emigrazione, di prostituzione, legati ai mestieri ambulanti) trasferiti sul palcoscenico urbano del Varietà, aperto agli scambi con l’Europa e ai ritmi d’importazione d’oltreoceano. Ne risulta una forma sonora dotata di una forte identità tradizionale e nello stesso tempo portatrice di un gesto teatrale innovativo che si distacca dalla canzone napoletana. Pasquale Scialò PRATOLINI PER VIVIANI Negli anni Venti e prima della tournée in America, Viviani considerava Firenze tra le città preferite, come Milano e Genova, nelle quali presentare in “prima” i suoi spettacoli, in particolare al Niccolini e al Politeama Nazionale.
Nel 1924 presenta Piazza Ferrovia e Festa di Piedigrotta; nel 1925 Piazza Municipio; nel 1927 Morte di Carnevale, per citare solo alcuni titoli. Vasco Pratolini, grande estimatore di Viviani (e curatore tra l’altro, assieme a Paolo Ricci, di una edizione delle poesie di Don Raffaele del 1956), scriveva: “Quel che c’è di tragico nella sua opera, la sua spietata ironia e la sua profondità umana, non nascono mai da un ripensamento di verità antiche esemplate sui modelli offerti dalla realtà contemporanea; né dinanzi a cotesta realtà Viviani si limita all’impressione, alla notazione gustosa dell’aneddoto e della cosa vista.
Egli è un artista che piuttosto che colorire, sta continuamente addosso alla figura umana, la sbalza, la indaga, sempre pronto ad inserirla in un racconto, in un bassorilievo, per ampliarne il significato nella coralità… Viviani non sta alla finestra, e non “scende” sulla strada; sulla strada egli vi nasce. Questa è la sua forza. La sua opera non è la conseguenza di una osservazione attenta e illuminante, né il risultato di una trasfigurazione lirica della realtà napoletana. Dapprima, la realtà gli si presentò come un fenomeno naturale: egli c’era di mezzo, la viveva; successivamente, non suppose mai di poterne evadere, di aver da dire qualcosa d’altro che non fosse ispirato alla vita, ai fatti, ai caratteri della Napoli di cui egli stesso era personaggio.… Il popolo napoletano, da pretesto diventa soggetto di poesia e, rappresentandosi, si rivela a se stesso, grida le proprie ragioni, si giudica e si conforta.
Questo spiega come l’atteggiamento di Viviani non ci appaia, per contrasto, né populista né bonariamente umanitario; come la sua opera ci offra non la più alta, ma la più attendibile interpretazione dell’anima napoletana e ideologicamente si possa classificarla tra i più autentici esemplari di letteratura socialista; e come, infine, il suo teatro e la sua poesia, così strettamente legati al dialetto, vincolati a dei contenuti altrimenti inesprimibili, siano rimasti isolati nel quadro della poesia e del teatro contemporanei…” MASSIMO RANIERI in VIVIANI VARIETÀ Poesie, parole e musiche del Teatro di Raffaele Viviani, in prova sul piroscafo Duilio in viaggio da Napoli a Buenos Aires nel 1929 Teatro della Pergola Sabato 9 giugno 2012, ore 20.45 - anteprima nazionale Domenica 10 giugno, ore 15.45 testi a cura di Giuliano Longone Viviani elaborazione musicale Pasquale Scialò con (in ordine alfabetico) Roberto Bani, Ester Botta, Angela de Matteo Ernesto Lama, Ivano Schiavi, Mario Zinno l’orchestra Massimiliano Rosati, chitarra, Flavio Mazzocchi, pianoforte Mario Guarini, contrabbasso, Donato Sensini, fiati, Mario Zinno, batteria scene e costumi Lorenzo Cutùli movimenti coreografici Franco Miseria luci Valerio Peroni aiuto regia Roberto Bani assistente alla regia Vincenzo Albano assistente scenografo Andrea de Micheli assistente costumi Veronica Pattuelli assistente musicale Ciro Cascino Si ringrazia Fernando Pannullo per la gentile collaborazione alla stesura del testo costumi Giuti Piccolo - Sartoria Farani scene Leonardo Laboratorio di costruzione - Parma calzature Sacchi Firenze direttore di scena Andrea Benedetti elettricista Valerio Peroni macchinista Franco Dottori amministratore di Compagnia Carmine Iula regia MAURIZIO SCAPARRO Produzione Fondazione Teatro della Pergola Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino in collaborazione con Gli Ipocriti