Si respira un'autentica atmosfera pionieristica nello studio monografico condotto dallo storico della fotografia Giovanni Fanelli e della ricercatrice Barbara Mazza sull'arte di Alphonse Bernoud. E' il racconto dell'espressività di uno dei primi sperimentatori della fotografia, il celebre ritrattista francese della corte di Borboni e Savoia, ma che proprio per confrontarsi con le potenzialità della nuova tecnica si improvvisò viaggiatore e reporter antesignano in un'Italia davvero in fondo all'Europa.
Il bel volume con più di cento immagini, intitolato "Alphonse Bernoud" (pp. 160, euro 36), è stato pubblicato qualche settimana fa da Mauro Pagliai all'interno della collana dedicata ai grandi fotografi dell'Ottocento. Nella dettagliata introduzione degli autori, entrambi architetti di formazione, ma ancora di più nello scorrere delle illustrazioni, il lettore riesce a rivivere il dipanarsi della sperimentazione del Bernoud che sfidava la immaginabile italica diffidenza nei confronti di uno straniero portatore di una nuova forma espressiva.
Chissà quante volte si sarà sentito domandare se anche la fotografia fosse arte, se quell'immagine statica riuscisse davvero a catturare l'essenza delle cose ritratte? Difficoltà ricorrenti per chi decide di vivere l'esperienza pionieristica di una novità umana dirompente come la diffusione della fotografia nel XIX secolo. Alphonse Bernoud, all'anagrafe Jean Baptiste Bernoud (Lione, 1820-1889), inizia a praticare la tecnica del dagherrotipo nei mesi immediatamente successivi alla sua scoperta, per sperimentare poi anche il calotipo e il collodio.
Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Settanta sviluppa anche commercialmente la sua attività in Italia (con ben tre ateliers a Firenze, Livorno e Napoli), dove introduce con successo nuove tipologie di fotografia, quella stereoscopica e quella formato carta da visita. Ritrae sovrani, politici, militari, diplomatici, attori, autori letterari, artisti, uomini di scienza, dedicandosi anche alla documentazione dell'arte sia antica che contemporanea. Grande viaggiatore e fotografo reporter ante litteram, è l'unico a documentare il disastroso terremoto che nel 1857 colpisce Campania e Basilicata, provocando la distruzione di Montemurro, paese in cui periscono 3.000 abitanti.
Anche le sue foto delle due eruzioni del Vesuvio (1858 e 1872) vengono pubblicate sui giornali del nord Europa, come quelle le truppe inviate in Toscana da Napoleone III (1859), i caduti di Lissa (1966) e l'assedio di Gaeta (1860), oltre ai briganti delle campagne meridionali e le navi sarde, francesi, o inglesi nel porto di Napoli. E' proprio grazie al lavoro di uomini come Bernoud, che nel giro di pochi anni appaiono unanimemente evidenti le potenzialità di questa nuova arte, che diverrà in breve tempo strumento insostituibile appunto di documentazione, di ritrattistica, di giornalismo nella più moderna accezione. Il volume riproduce le fotografie di Bernoud riprese in tutti i formati, evidenziandone i dettagli e permettendo, anche attraverso le accurate didascalie, di comprendere appieno le peculiarità della tecnica e i motivi ispirativi della produzione del fotografo francese.
Particolare attenzione viene posta da Fanelli e Mazza, proprio per la loro estrazione personale, agli aspetti architettonici e urbanistici dei panorami ritratti da Bernoud. Sarà un piacere per gli occhi riconscere nell'opera del fotografo francese tanti scorci fiorentini e delle altre città toscane, anche se suscitano onestamente ancora più interesse i panorami di una Napoli (e del golfo di Pozzuoli) che non esiste ormai più. Mentre infatti il centro di Firenze conserva ancora ampiamente il proprio aspetto rinascimentale, che Bernoud documenta nelle prospettive, ancor oggi immutate, dei più importanti monumenti cittadini, diverso è il discorso su Napoli, dove il fotografo francese immortala scorci di un lungomare che non esiste più, vittima della riorganizzazione urbanistica successiva, realizzata con colmate che hanno modificato la linea di costa originaria.
E proprio nel Meridione che Bernoud vive anche la fascinazione dei costumi locali, diffondendosi in ritratti antropologici su pastori e zampognari, ostricari e ragazze in costume tradizionale. di N. Nov.