Firenze, 28 novembre - L’Italia è sempre più soggetta ad alluvioni e piogge intense, e sempre più fragile e impreparata di fronte alla crisi climatica. È quanto emerge dal “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni” realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol, che quest’anno dedica uno speciale proprio al tema alluvioni denunciando anche i tagli che ci sono stati alle risorse destinate alla prevenzione del dissesto idrogeologico.
I numeri parlano da soli: negli ultimi 14 anni-dal 2010 al 31 ottobre 2023 - sono stati registrati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente a livello nazionale ben 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane sempre dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati. In questi 14 anni, le regioni più colpite per allagamenti da piogge intense sono state: la Sicilia, con 86 casi, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe con 49 eventi), Toscana (48). Da inizio anno a fine ottobre invece ci sono stati 28 eventi estremi in Toscana (+27% rispetto ai primi 10 mesi del 2022), rilevazioni fatte prima dell’arrivo della tempesta Ciàran nella nostra regione.
Numeri preoccupanti se si pensa che l’Italia è un gigante dai piedi d’argilla e ad elevato rischio idrogeologico con 1,3 milioni di persone che vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione (dati Ispra). Dal punto di vista economico, ricorda Legambiente, il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (dati Protezione civile). Eppure, nonostante tutto ciò, il Governo Meloni nel rimodulare il PNRR ha scelto di dimezzare le somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno (fonte Rendis- Ispra).
Secondo Legambiente a pesare in questi anni in Italia l’assenza di una governance con una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Per questo oggi l’associazione ambientalista, in occasione del lancio del suo report e a pochi giorni dell’apertura della COP28 sul clima a Dubai e del suo XII congresso nazionale dal titolo “L’Italia in cantiere” in programma a Roma l’1, 2 e 3 dicembre e incentrato su crisi climatica e transizione ecologica, ricorda quelli che devono essere i due pilastri cardine della buona gestione del territorio: ossia la convivenza con il rischio, che si attua con la giusta attenzione ai piani di emergenza comunali, all’informazione e formazione dei cittadini e la consapevolezza che un territorio come quello italiano non ha bisogno di essere ulteriormente ingessato, cementificato, impermeabilizzato, ma dell’esatto opposto, ovvero dell’adattamento.
“Una vera riduzione del rischio idrogeologico – spiega Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana e componente della Segreteria Nazionale del Cigno Verde – si potrà ottenere solo restituendo spazio ai fiumi (agendo su delocalizzazioni, de-sigillatura di suoli impermeabilizzati, rinaturalizzazione delle aree alluvionali, azzerando il consumo di suolo e non concedendo nuove edificazioni nelle aree prossime ai corsi d’acqua); solo in seconda battuta, con opere di difesa passiva e di sfogo controllato, come aree o vasche di laminazione, da realizzare laddove strettamente necessario e inserendole sempre in un quadro (di pianificazione e programmazione) chiaro e trasparente.
La ricostruzione delle aree colpite dalle alluvioni, a partire dalle ultime danneggiate il 2 novembre da Ciàran in Toscana, deve essere l’occasione per ripensare totalmente la gestione del territorio, anche e soprattutto con coraggiosi cambiamenti nelle funzioni d’uso del suolo. Sarebbe, infatti, miope e controproducente pensare di riparare e ricostruire dov’era, com’era”.
Nel report Legambiente fa anche il punto su quelli che sono stati, a suo avviso, i giusti “si” alle opere necessarie alla mitigazione del rischio idrogeologico in Italia che l’associazione – attraverso la capillare azione dei propri circoli territoriali – ha difeso o ha provato a migliorare: dalla messa in sicurezza dell’Arno nel 2008 alla cassa di espansione di Roffia a San Miniato nel 2015, del Senio del 2021; le otto opere necessarie nel pistoiese nel 2023.
Non mancano le buone pratiche a cui guardare come modello. Tra queste, il ripristino del tessuto naturale dei territori e dei corsi d’acqua deve essere uno degli obiettivi base degli interventi per contrastare il rischio alluvioni, attraverso la creazione di spazi ripariali e zone umide naturali allagabili. Allo stesso tempo, questa tipologia di interventi favorisce lo sviluppo di habitat adatti a ospitare svariate tipologie di specie animali e vegetali, aumentando i livelli di biodiversità. Ad esempio, il lago di Massaciuccoli, in provincia di Lucca, per quasi un secolo gran parte del bacino è stato drenato per scopi agricoli provocando non poche ripercussioni sul lago diventato vulnerabile in particolare ai nutrienti, come nitrati e fosfati provenienti da usi agricoli intensivi detombato, per questi motivi tramite il progetto PHUSICOS del programma europeo Horizon 2020, è prevista la realizzazione di un impianto di fitodepurazione, fasce tampone su larga scala combinate con tecniche agricole di conservazione, la gestione naturale dei canali e un bacino di ritenzione idrica.
Un contributo decisivo in situazioni di piogge record, e delle conseguenti esondazioni fluviali, può venire dalla realizzazione di casse e bacini di espansione. Tra gli esempi di interventi per mitigare il rischio di alluvione vi è quello realizzato nel Parco del Mensola, a nord est di Firenze. Uno spazio verde caratterizzato dalla presenza del torrente Mensola e che grazie a un sistema di casse di espansione, esteso per oltre 18 ettari, è stato adattato ai crescenti rischi di alluvione, tutelando anche gli aspetti naturalistici.