Vincere - Un film di Marco Bellocchio. Con Filippo Timi, Giovanna Mezzogiorno, Fausto Russo Alesi, Michela Cescon, Pier Giorgio Bellocchio.
Drammatico, durata 128 min. - Italia, Francia 2009. - 01 Distribution
Bellocchio dopo Buongiorno Notte affronta di nuovo la Storia d’Italia e lo fa scegliendo una pagina dimenticata e rimossa del periodo fascista : la vicenda di Ida Dalser e del suo matrimonio con Benito Mussolini, a cui la donna darà un figlio, legalmente riconosciuto, Benito Albino.
La vicenda, bollata in quegli anni come vile propaganda rossa, è stata recentemente riportata a galla dal libro “La moglie del Duce” di Marco Zeni : Ida conosce, si innamora e sposa in chiesa il giovane socialista Benito; partorisce il suo primogenito; vende ogni suo avere e proprietà per finanziare il quotidiano “Il Popolo D’Italia” che il futuro Duce vuole fondare una volta espulso dalla direzione dell’Avanti.
Poi, dopo il voltafaccia storico di Mussolini, che da socialista pacifista si trasforma in interventista e nazionalista acceso, anche lei rientra in un “cambio di facciata “ necessario all’ascesa politica : lui sposa Rachele Guidi, simbolo della donna italiana sottomessa e contadina, cancellando ogni traccia legale della precedente unione e liberandosi della Dalser e dello scomodo rampollo, rinchiudendoli in ospedali psichiatrici.
Metafora evidente di un paese, il nostro, che fu cancellato, annichilito, diseredato grazie alla forza massmediologica e della propaganda, la vicenda di Ida, giornalista emancipata in via di femminismo, racchiude anche quella della donna italiana, da allora e per lunghi anni costretta nel ruolo di madre casalinga pia e devota.
A prestarle il volto è Giovanna Mezzogiorno, che pur con i troppi sospirati a cui ormai ci ha abituato, riesce a dare giustizia alla vicenda di questa donna vituperata dalla Storia e dall’Italia intera. Nel doppio ruolo del giovane Duce e del figlio rinnegato c’è Filippo Timi, che conferma il suo talento in via di affermazione, grazie anche ad un volto cinematografico che buca lo schermo anche con la sola presenza. Un po’, passatemelo, uno Jean Reno nostrano.
Molto bella la fotografia di Daniele Ciprì, che orfano del compare Maresco, dopo aver girato con Roberta Torre praticamente tutti i suoi film, si mette alle luci per Bellocchio con un risultato straordinario.
Grande impatto, grande atmosfera, quasi da thriller.
Quello che proprio non funziona è la sceneggiatura. La prima parte è confusa, irrisolta. Nel suo omaggio alla lirica, Bellocchio racconta tutto il primo tempo come un immenso melodramma, persino con parti cantate; lo rende un film futurista, con trovate grafiche a dire il vero un po’ discutibili e poco attuali ; lo inzeppa di cinegiornali e filmati d’epoca, forse anche per “rintuzzare” i buchi narrativi e le farraginosità di uno script che non scorre e non funziona.
Un po’ meglio la seconda parte, dove gli interventi della Storia e del futurismo si diradano per lasciare spazio al dramma in cui finalmente lo spettatore è coinvolto, con l’internamento in manicomio di Ida.
Alla fine, la visione è doverosa, per i fatti storici, per qualche sottinteso latente ma mai troppo spinto con l’attualità, per l’interpretazione attoriale e qualche guizzo di regia ; ma il risultato finale stanca e appassiona troppo tardi, e la quantità di materiale e registri presenti nel film lo fanno risultare ridondante e un po’ troppo intellettualistico.
Peccato, la vicenda di Ida Dalser avrebbe meritato di essere fruibile a un maggior numero di persone. A vincere, in fondo, è la noia.
Marco Cei