The Wrestler - Un film di Darren Aronofsky. Con Mickey Rourke, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Mark Margolis, Todd Barry.
Drammatico, durata 109 min. - USA 2008. - Lucky Red
Ci sono film che contengono più storie. Quelle dei personaggi principali e secondari, quella racchiusa nella trama dello script stesso; e quelle fuori schermo di chi quel film lo ha realizzato, sia esso regista, interprete o autore.
The Wrestler di storie, anche simili fra loro, ne racconta diverse.
In primis, va detto, il minimo comun denominatore per tutte è la parabola discendente : quella di Randy “The Ram” Robinson, il protagonista ; quella del suo interprete
Mickey Rourke, che tutti conoscono; quella che ha rischiato di conoscere
Marisa Tomei prima di rilanciarsi e quella appena sfiorata dal baby prodigio Aronofsky , l’architetto di tutta l’operazione.
L’appena quarantenne
Darren Aronofsky è stato infatti un regista di culto per cinofili giovani e meno giovani : ex graffitaro, creativo artigianale ma geniale al limite della supponenza, dopo gli exploit di
Pi – Teorema del Delirio e
Requiem For A Dream, veri e propri fenomeni di successo dovuto al passaparola, aveva forse fatto il passo più grande della gamba lanciandosi in
The Fountain , mega storia d’amore metafisca che attraversa i secoli e la pazienza dello spettatore.
Dopo il flop, che verrebbe da definire salvifico, l’ex enfant prodige realizza infatti un film maturo, dallo stampo narrativo classico , regalandoci qualche risata e qualche lacrima; il tutto senza rinunciare a trovate comunque di stile e a certi suoi clichè ormai diventati un po’ una sua firma. Si veda, ad esempio, la sospensione sfumando al nero nel finale della storia, quasi a non voler concludere su schermo la vicenda, ma a consegnarla alle coscienze individuali, o, forse, alla leggenda immortale.
Aronofsky si “ravvede”, mette forse da parte un po’ di ego e sfiora l’oscar.
Abbiamo detto di
Marisa Tomei: dopo gli sfavillanti esordi e l’oscar con cui sorprese il mondo, per
Mio Cugino Vincenzo, si era smarrita in tanti filmetti e commedioline romantiche dimenticabili. Qualche annetto fa, appena prossima ai quaranta, fece una sparata giornalistica rivelando di rimpiangere la sua scelta di non aver mai mostrato la sua “merce” nei film, a differenza di tante colleghe che grazie a quello ora avevano fatto più strada.
Detto, fatto : nei tre film successivi più noti, la signora Tomei appare come Natura l’ha fatta (in Factotum, nel bellissimo Onora il Padre e la Madre di Lumet e in questa pellicola) e torna in auge. Complice anche una bravura attoriale che per troppo tempo aveva annacquato. Per inciso, a 45 anni la suddetta signora è di uno splendore che non guasta l’occhio . E per poco non bissa l’Oscar, andato alla Cruz in quello che per chi scrive è l’assegnazione degli Academy più contestabile di quest’anno.
E poi c’è
Mickey Rourke, disfatto, orribile, deformato, inguardabile. Non c’era faccia migliore per The Ram che questo ex bello distruttosi con le sue stesse mani ( o guantoni, dato che in un colpo di testa di qualche anno fa si dette anche alla boxe per rilanciarsi in un qualche ambito ) e caduto nel dimenticatoio del mondo . La sua storia e quella di Robin Radzinski, in arte Randy Robinson, L’ariete, si assomigliano paurosamente. Il “mostro” sullo schermo commuove e irrita, appassiona alla sua vicenda umana di sconfitto e permette a Rourke di rilanciare la sua carriera, per quanto il tanto vociferato Oscar sia andato a Penn.
(Che lotta quest’anno, considerando anche il Langella di Nixon . )
Randy “The Ram” , infatti, un pò come analogamente lo fu Rourke, è un ex campione del pro wrestling che venti anni fa, alla fine degli anni ottanta, combattè un incontro entrato nella leggenda di questo sport contro il cattivissimo The Ayatollah ( il vero lottatore
Ernest “The Cat” Miller ). Ora lavora part time in un supermercato, combatte in palazzetti di provincia per manciate di dollari e dorme in un furgone, solo e senza affetti.
Il suo unico contatto col reale è una spogliarellista, Cassidy ( la Tomei ) che come lui si guadagna da vivere esibendo il proprio corpo mentre incarna un personaggio (il suo vero nome è Pam) e che lo spinge a riallacciare i rapporti con la figlia che aveva abbandonato ( Evan Rachel Wood) . Non sono subito rose e fiori, ma Randy è determinato a costruire sulle macerie della sua vita qualcosa per vivere sereno il resto dei suoi anni, dopo aver scoperto che un ultimo combattimento potrebbe essere fatale al suo cuore, uscito indenne fino ad allora da troppe battaglie.
Randy cerca di ridiventare Robin, di dimenticare il pro wrestling e l’antica fama, di guadagnarsi da vivere come tutti sgobbando dietro al bancone degli alimentari, di essere un compagno di vita per Cassidy e un buon padre per la figlia. Ma Robin-Randy non è fatto per questa vita ; dopo tutto, il ring è l’unico posto dove “non riesce a farsi davvero male” , il suo unico vero amore, l’unica cosa che lo spinga ancora ad andare avanti. Per cui si lancia nell’ultimo combattimento, la rivincita per il ventennale dell’incontro fatidico con l’Ayatollah, sapendo che potrebbe essergli fatale.
Ma è meglio così : non si può vivere fingendo di essere qualcuno che non si è. Non basta Cassidy, che lascia il lavoro per cercare di fermarlo (e, sembra dire Aronofsky, almeno per lei in questo modo sembra esserci una possibilità di redenzione ) . Per Randy The Ram Robinson è tempo di volare ancora una volta giù dal paletto a bordo ring.
Fotografato da una donna,
Maryse Alberti (già all’opera in
Happiness di Todd Solondz e
Velvet Goldmine di
Todd Haynes ) e girato con molta macchina a mano, in stile quasi documentaristico, dedicando molto tempo all’improvvisazione sia attoriale che registica ( Aronofsky rinuncia per questa intuizione ai suoi amatissimi e dettagliatissimi storyboard ), The Wrestler è un film anche crudo nelle sequenze lottate, ma che mostra il cameratismo dei lottatori intenti a creare l’entertainment per il pubblico al prezzo del loro corpo, e alcuni squisiti trucchi del mestiere (come la lametta che Randy nasconde nelle fasciature per procurarsi il Blade Job, la ferita sanguinante che aumenta la drammaticità dei colpi subiti e del match ).
Musiche del fedele collaboratore del regista
Clint Mansell, con l’eccezione della titletrack realizzata appositamente da
Bruce Springsteen.
Una battuta su tutte : al pub Randy e Cassidy ascoltano una musica rock degli eighties. “ gli anni ottanta erano forti, anche a livello musicale. C’erano un sacco di band toste…poi è arrivato quel f…..o di Cobain ed è cambiato tutto”.
Marco Cei