Manoj “Michael” Night Shyamalan è da sempre abituato a spaccare in due pubblico e critica. Dopo il folgorante esordio del “Sesto Senso”, gli altri capitoli della sua filmografia hanno suscitato le sensazioni più diverse in chi li ha visti . Se , per chi scrive, “Unbreakable”- che il pubblico non ha apprezzato- era forse il suo film migliore e più riuscito; se “Signs” era da alcuni snobbato e da altri considerato un grande film con un finale depauperante ; se “The Village” e “The Lady in the Water” mettevano comunque troppo in evidenza la loro struttura narrativa di marchingegno a scatole cinesi (comune a tutte le opere del regista di origine indiana) e il dilagante egocentrismo e narcisismo del loro autore, con “ E venne il giorno” ( in originale un più riduttivo “the Happening” ) il trentottene regista da una brusca virata al suo stile, abbandonando, senza però avvertirci, le sue amate storie – tranello che con l’ultima inquadratura cambiavano il senso a tutto quello che avevi visto sino ad allora.
Si resta dunque in attesa di un colpo di scena che non c’è, o che quando arriva, è deludente e non appagante.
Un’epidemia parte da Central Park e contagia tutta la costa orientale degli Stati Uniti : le persone inspiegabilmente si bloccano, camminano all’indietro, uccidono o si suicidano. Una pulsione alla morte che , come intuirà il professor Elliott (un convincente Mark Wahlberg , costretto dal copione delirante scritto da Shyamalan a dialogare con una pianta finta e con altri personaggi dallo spessore simile all’arbusto) è dettata da tossine trasmesse dagli alberi, da Madre Natura che si ribella all’ uomo e decide di sterminare il “Virus” che la sta oltraggiando da troppo tempo.
Peccato che Shyamalan non spieghi come mai l’epidemia si blocchi giusto in tempo per non far morire il protagonista e la sua adorata mogliettina ; che tutto sia stato solo un “avvertimento” della Grande Madre Terra come suggerisce il finale del film, con il ripetersi di un nuovo caso in un’altra parte del mondo ? Che l’amore ritrovato fra il professore e la sua amata Alma ( Zoey Deschanel, dai grandi occhioni da ragazza della porta accanto; ma il suo personaggio non funziona non per sue colpe ) sia l’evento che ferma il proposito omicida delle piante ? Questa volta, Shyamalan dribbla il suo stesso meccanismo e non ci fornisce risposte esaustive ; la storia, anche noiosina a dire il vero, è troppo poco credibile; la sceneggiatura risente molto del delirio di onnipotenza dell’autore indoamericano , che firma lo script da solo, e ne è anche il produttore.
Grazie al cielo, almeno questa volta il regista rinuncia a fare l’ Hitchcock, non comparendo nel film come in Lady in the Water, dove si era addirittura ritagliato un ruolo di notevole importanza (fa solo una voce fuori campo al cellulare, in Italia eliminata al doppiaggio ).
Uniche cose che salvano brevemente dalla noia, un paio di sequenze di notevole crudeltà mentale , uno sconfinamento nel gore e nello splatter, elementi da sempre alieni al regista di Signs ( perdonate il gioco di parole) : un uomo in preda al virus tossico che si fa sbranare da un branco di puma, immolandosi nella loro gabbia dello zoo; ed un altro che si sistema placido placido sull’erba attendendo che la falciatrice lo dilani.
Marco Cei