Il 54% delle donne che lasciano il lavoro dopo una maternità lo fa per difficoltà all’interno dell’azienda, il 46% per difficoltà nell’assicurare le cure adeguate ai figli. Fra le cause ‘aziendali’ le principali sono l’organizzazione statica dell’orario di lavoro (42% dei casi) e la mancata concessione del part time (36%), mentre il 22% delle donne segnala pressioni da parte dell’azienda ma anche dei colleghi, che manifestano scarsa solidarietà e poco spirito di collaborazione.
Fra le altre cause la prima è di gran lunga (73% dei casi) la mancanza, l’inadeguatezza degli orari e l’elevato costo degli asili nido e dei servizi di baby sitter; per il restante 27% a mancare sono stati invece gli aiuti familiari. In questa situazione l’incremento e il potenziamento degli asili nido, insieme ad una riduzione dei loro costi, sembra essere l’unico strumento di conciliazione realmente fattibile per alcune delle intervistate.
Nel 91% dei casi ad essere lasciati sono posti a tempo indeterminato.
Il 50% delle donne erano impiegate, il 27% operaie. Ben l’82% delle dimissioni è avvenuto in aziende di dimensioni medio-piccole, nelle quali è meno diffuso l’utilizzo di forme di conciliazione vita-lavoro che consentano una modulazione personalizzata della vita professionale.
Solo il 5% ha lasciato il lavoro esclusivamente per ragioni affettive. Più della metà delle donne prima di gettare la spugna ha cercato soluzione alternative e una su due ha trovato un nuovo posto di lavoro entro il 2006, ma solo nel 25% dei casi a tempo pieno: il 64% a part time, l’11% saltuario.
La ricerca ha riguardato le 364 lavoratrici madri che nel 2005 hanno dato le dimissioni entro il primo anno successivo alla nascita di un bambino.
L’età media delle intervistate è di 34 anni, per il 58% si è trattato del primo figlio. Nello stesso periodo hanno presentato domanda di astensione per maternità 6.677 donne.
“L’organizzazione del lavoro – ha osservato Maria Grazia Maestrelli sulla base dei risultati della ricerca – è ancora oggi spesso incapace di affrontare la maternità nella logica della conciliazione e la divisione fra il tempo della vita quotidiana e quello dedicato al lavoro rimane ancora assai rigida.
Il valore sociale della maternità è più uno slogan che un fatto realmente vissuto e non si può lasciare le donne sole ad affrontare il problema”.
“Sebbene gli indicatori statistici presentino una situazione soddisfacente nel nostro territorio rispetto ad altre province – rileva nell’introduzione alla ricerca l’assessore provinciale alle Pari opportunità Alessia Ballini – molto resta da fare per garantire alle donne una serena conciliazione fra sfera lavorativa e sfera privata”.
“Capire meglio le ragioni che spingono le lavoratrici madri fuori dal sistema produttivo – sostiene l’assessore provinciale al Lavoro Stefania Saccardi – è necessario per andare a progettare forme specifiche di intervento che aiutino le donne a restare nei loro posti di lavoro”.