Fu nel maggio di quarant'anni fa che Don Milani, sacerdote fiorentino, parroco di una piccola comunità mugellana, pubblicava "Lettera ad una professoressa". Il saggio, che tutt'oggi risulta far luce sulla storia trascorsa, fu scritto dal povero parroco negli anni della sua esperienza a Barbiana. L'opera, nella quale sotto un profilo letterario si fonda il romanzo biografico e la saggistica, oltre a rappresentare una denuncia alla società borghese di allora, sembra tuttora un diario intimo che Don Milani scrisse in relazione alla propria esistenza.
Un saggio critico che voleva essere un tentativo di scardinamento nei confronti di una logica didattica che escludeva dallo studio le classi disagiate. Un libro per molti aspetti politico, in senso lato della parola, che fece luce, per molti, sulle tenebre di un regime aristocratico e clericale. Don Milani, che a Barbiana faceva scuola ai figli degli agricoltori, a seguito di forti vicissitudini con la chiesa cattolica - che contestava il suo modo di esercitare la missione- e con le istituzioni, perseguì il suo intento di difesa dei poveri attraverso una serie d'azioni.
A cominciare dalla vita quotidiana: dalla costruzione della parrocchia come centro per i fedeli ma soprattutto come centro didattico. L'intento principale era, infatti, quello di dare istruzioni ad una massa che, per ragioni geografiche e sociali, ne sarebbe stata esclusa. Un tentativo di convergere due universi, quello urbano e quello agricolo, che da sempre stavano agli antipodi. Azione che non tardò a tradursi in senso letterario, a cominciare dal diario- saggio di Lettera ad una professoressa per seguire con l'epistolario, intitolato Lettere da Barbiana, nel quale narrava la via quotidiana del piccolo centro.
L'opera letteraria di Don Milani sviluppa nella propria poetica un vero realismo di base, tanto da essere una sorta di diaristica polemica che per gli anni a venire sarebbe stata per molti un punto di riferimento. Scritti non tutti pubblicati all'epoca, molti dei quali furono editi postumi. Altro aspetto che dopo quarant'anni emerge, e dal quale si sviluppa un dibattito sia cattolico sia culturale, è certamente quello che fa di questi scritti saggi fondamentali per la storiografia letteraria. Dibattiti che in parte cercano di rivalutare il ruolo letterario nella letteratura italiana, e in seguito in quella europea, del Don Milani scrittore.
Uno scrittore per certi versi atipico, in quanto fortemente autobiografico. Opere che nascono dal profondo della sua azione di parroco, che per antonomasia abbracciano un retroterra cristiano più che cattolico, di un cristianesimo totalizzante, degli ultimi. Insomma una letteratura d'azione, non organica, quasi d'istinto e per questo riflessiva. Una denuncia a trecentossesanta gradi che, oltre a criticare un sistema, getta le basi per una nuova logica didattica, senza escludere niente. Diari, lettere, saggi romanzati per la maggiore composti dopo tante vicissitudini, dopo tante lotte quotidiane e fatiche didattiche.
Opere figlie del dolore, insomma: ricche d'amore per il prossimo e per la storia. Un tentativo di mettere per iscritto il desiderio di convergere due realtà contrapposte. Un modo di evangelizzare il prossimo non solo con azioni estreme e sofferte, ma soprattutto con parole semplici di grande valenza poetica. L'anniversario che cade nel presente mese di maggio viene quindi a far riflettere sull'operato del prete, sulla sua azione come sulla sua letteratura, essendo stato Don Milani un maestro esemplare e un messaggero di civiltà.
Iuri Lombardi