Firenze - Solo il 2% del nanoparticolato (PM 01) è attribuibile ai termovalorizzatori, mentre il 60% proviene dal traffico, il 19% dall’industria, il 10% dagli impianti di produzione di energia, il 7% dalla combustione domestica, il 2% da altri fattori. A dirlo è uno dei pochissimi studi esistenti sulle nanoparticelle, realizzato in Inghilterra. E, considerando tutte le sorgenti inquinanti nella piana fiorentina, l’apporto di un termovalorizzatore rappresenterebbe all’incirca l’1% di quanto produce il solo traffico dei motori diesel.
Inoltre, mettendo a confronto un termovalorizzatore con una discarica, ne esce penalizzata la discarica anche con maggiori emissioni di C02 in atmosfera. Tutti numeri che ci invitano a riflettere e ad allontanare gli allarmismi: questi le conclusioni, corredate da altri importanti dati diffusi da dirigenti e tecnici dell’Arpat durante un’audizione della commissione Territorio e ambiente del Consiglio regionale, presieduta da Erasmo D’Angelis (Margherita), che ha voluto fare il punto sulle conoscenze scientifiche che riguardano i termovalorizzatori.
Secondo i dati diffusi dall’Arpat – in commissione c’erano Roberto Gori, Daniele Grechi e Rossella Francalanci - nella nostra regione il 76% dei rifiuti finiscono in discarica, mentre solo l’8% prende la strada della termodistruzione; le medie europee sono del 44% per le discariche e del 20% per la termodistruzione.
Firenze è la città italiana meglio monitorata e indagata sotto l’aspetto dell’inquinamento, anche delle più piccole particelle: per il 50 per cento il responsabile è il traffico urbano, poi c’è il riscaldamento urbano, l’inquinamento dal suolo e la combustione industriale. Siamo però in discesa almeno dal 1995, grazie ai nuovi filtri per le auto, alle riconversioni del riscaldamento e alle tecnologie di abbattimento dell’industria. Per gli esperti dell’Arpat, un termovalorizzatore nella piana potrebbe portare un contributo minimo, intorno all’1 per cento del traffico dei motori diesel e, tra l’altro, lo spostamento di 500 metri non cambierebbe nulla: le ricadute minime di un camino altro tra i 40 e i 50 metri si disperderebbero in un’area vasta.
La normativa europea, recepita anche in Italia - hanno precisato ancora gli esperti dell’agenzia - vincolano le amministrazioni a proseguire sulla strada del miglioramento: ogni volta che vengono attivate nuove sorgenti di inquinamento, è obbligatorio compensare le nuove emissioni con corrispondenti riduzioni da altri settori.
“E’ proprio questo l’obiettivo da perseguire - commenta D’Angelis - Quell’1 per cento di inquinamento in più che può portare un termovalorizzatore che a noi serve solo per chiudere il ciclo dei rifiuti dopo le azioni di riduzione, raccolta differenziata e riuso, va compensato agendo su altre sorgenti, ad esempio sul traffico, perché è questo il vero killer dei nostri polmoni. In Toscana abbiamo un tipo di smaltimento medievale: quasi tutto finisce in discariche quando ormai sappiamo che producono un inquinamento molto maggiore di un buon impianto di termovalorizzazione di area metropolitana ben gestito con tutte le massime garanzie.
L’Arpat è una vera autorità scientifica in materia di protezione della salute dei cittadini – conclude D’Angelis - I loro dati ci invitano a riflettere e ad allontanare gli allarmismi e le informazioni grossolane”. Positivi i commenti da parte della maggioranza dei consiglieri regionali presenti all’incontro. “sulla base di quanto abbiamo saputo oggi - ha detto il vicepresidente della commissione, Virgilio Simonti (Ds) - possiamo essere sicuri che utilizzando i termovalorizzatori non attentiamo alla vita di nessuno”.
Simonti ha anche proposto che il lavoro svolto dalla commissione su questi temi diventi pubblico, con una pubblicazione e la diffusione del materiale e dei dati raccolti sia tra le istituzioni che tra i cittadini. Per Adriano Chini (Ds), anche la Giunta regionale dovrebbe attivarsi per iniziative di informazione che “ristabiliscano la verità scientifica su queste problematiche”. Anche secondo Luca Paolo Titoni (Udc) la Giunta regionale “dovrebbe farsi carico di iniziative di questo tipo perché solo con dati scientifici può nascere il confronto”.
Per Andrea Agresti “i termovalorizzatori non sono la soluzione di tutti i problemi, ma rispondono senz’altro ad un’emergenza, e le informazioni avute oggi ristabiliscono la verità in modo equilibrato”. Bruna Giovannini (Ds) ha chiesto inoltre che la commissione faccia ulteriori passi avanti studiando anche le possibili alternative alla termovalorizzazione. Mario Lupi (Verdi) ha messo l’accento anche su altri aspetti, evidenziando come secondo i dati Arpat la Toscana sia la prima regione in Europa per produzione di rifiuti e chiedendo “un’azione politica che inverta la rotta e punti ad un’effettiva diminuzione della produzione”.