Il sindaco chieda al Ministro di Grazia e Giustizia di inviare gli ispettori alla procura generale di Torino «per verificare se è vero, ed eventualmente il motivo, per cui non si sia ricorso contro la revoca del carcere duro a Cosimo Lo Nigro» uno dei mafiosi che, il 27 maggio 1993, fecero esplodere un'autobomba in via dei Georgofili. E' una delle richieste contenute in una risoluzione presentata dal consigliere di AN Giovanni Donzelli e approvata ieri era dal consiglio comunale. Il documento è stato firmato anche dalla consigliera dei DS Susanna Agostini.
«I giudici - si ricorda nel documento - hanno revocato il regime duro, previsto dall'articolo 41 bis del regolamento penitenziario per reati particolarmente gravi come la strage. Ma Cosimo Lo Nigro è stato riconosciuto dalla giustizia italiana, con sentenza della Corte di Cassazione emessa il 6 maggio 2002, come uno degli appartenenti al commando che la notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 piazzò l'autobomba in via dei Georgofili provocando la morte del vigile urbano Fabrizio Nencioni, della moglie Angela Fiume, delle figlie Nadia, di nove anni, della sorella Caterina, di cinquanta giorni, dello studente di architettura Dario Capolicchio ed il ferimento di altri 48 cittadini.
Ma le stragi della primavere-state del 1993, che oltre Firenze insanguinarono anche Roma e Milano Peraltro - sottolinea la risoluzione - sono state eseguite dall'organizzazione criminale di stampo mafioso denominata Cosa Nostra proprio per obbligare lo Stato ad abrogare il carcere duro per i suoi affiliati oltre che la legge sui pentiti. Peraltro non è emersa da nessuna parte la notizia di un ricorso in Cassazione da parte della procura generale di Torino contro il provvedimento che ha favorito lo stragista di via dei Georgofili».
Il documento impegna il consiglio comunale anche a «a esprime nuovamente la propria solidarietà ai familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili e di tutte le stragi di Cosa Nostra, anche alla luce di questa notizia» e «ribadisce l'importanza dello strumento del 41 bis per combattere Cosa Nostra e le altre organizzazioni di stampo mafioso». «Il regime del carcere duro - ha ricordato Donzelli - fu introdotto poco dopo la strage di Capaci, nella quale morirono il giudice Falcone, la moglie e gli agenti di scorta.
Fino a quel momento le prigioni erano spesso simili a grand hotel dove, oltre alla possibilità di far filtrare tutti i possibili ordini di vita e di morte, i boss soggiornavano allegramente. Senza dimenticare che la concessione dei benefici ad uno stragista come Lo Nigro ha determinato un forte discredito dell'amministrazione della giustizia e negli operatori delle forze dell'ordine un senso di inutilità del lavoro. E può finire per dare un prestigio ai mafiosi he da sempre, come dimostrano anche la sentenza per le stragi del '93, hanno cercato di far fare marcia indietro allo Stato sul 41 bis e sulla legge sui pentiti».
«Ho firmato la risoluzione - ha spiegato Susanna Agostini - perché condivido che proprio dalla nostra città parte una richiesta forte alle istituzioni: qui è stata sterminata la famiglia Nencioni e ucciso lo studente Dario Capolicchio, oltre al ferimento di decine di altri innocenti. I boss mafiosi e il commando stragista, del quale Lo Nigro fu uno dei protagonisti, volevano alzare il tiro contro lo Stato, dare visibilità mondiale alla forza di Cosa Nostra per combattere il 41 bis e la legge sui pentiti.
Il regime di carcere duro, per chi si è macchiato di una strage mafiosa terroristica con finalità eversive, provocando morti e feriti - ha concluso la consigliera dei DS - è un tipo di carcerazione severo ma necessario. La normativa antimafia va ancor più affinata per perseguire la diabolica capacità di adeguamento della mafia rendendo più efficace il carcere duro, semplificando modi, tempi e procedure nella confisca dei beni mafiosi. Lo Stato deve essere più veloce della mafia, non deve considerare la criminalità organizzata solo un fatto emergenziale e locale, ma connesso allo sviluppo moderno del nostro Paese».
(mr)