La presentazione oggi a Firenze del volume Il Cultural Planning: principi ed esperienze (a cura di S. De Martin, P.L. Sacco, Carocci Pressonline 2006) offre l’occasione di discutere sulle potenzialità della cultura come vettore di crescita e innovazione sociale ed economica.
La necessità di rivisitare tale questione nasce dalla difficile fase economica che investe l’industria Toscana e che spinge alla ricerca di nuovi percorsi di crescita locale.
La rilevanza del tema per la Toscana emerge -come evidenziato nel volume dal contributo di Patrizia Lattarulo dell’Irpet- dalla dimensione del settore produttivo nella regione, rispetto al resto del paese, con i quasi 9500 addetti (il 7,5% del dato italiano), e dal trend positivo rilevato nella crescita del valore aggiunto del settore Attività ricreative, culturali e sportive (+3,1% annuo negli anni 2000/2004), a fronte dello 0,6% annuo del Prodotto Interno Lordo del Paese.
La Toscana investe di più in cultura
Un importante indicatore della rilevanza del settore nelle politiche pubbliche è fornito dalle risorse finanziarie messe in campo.
Il timore che i vincoli di finanza pubblica degli ultimi anni e i propositi (per la verità scarsamente efficaci ad una verifica ex post) di rientro della spesa potessero gravare sugli impegni in ambito culturale, tradizionalmente più flessibili e quindi più soggetti ai tagli, si sono verificati -fino ai primi anni 2000- infondati. Il trend dei consumi collettivi (1995/2003) per attività ricreative e culturali è infatti positivo nel Paese (1,7% medio annuo), e ancora di più in alcune regioni come Veneto ed Emilia un po’ inferiore in Toscana (1,2%) dove però il valore assoluto è superiore alla media.
In Toscana le risorse in ambito culturale sono superiori ad altre realtà regionali, sia per disponibilità della pubblica amministrazione quanto per spesa dei privati, sponsorizzazioni bancarie e spesa turistica.
Questo maggior impegno è dovuto alla ricchezza del patrimonio -quindi all’elevato costo della tutela e della manutenzione- ma è anche il risultato di una diffusa attenzione all’offerta culturale a scala locale, tanto che i consumi collettivi per attività ricreative e culturali (una categoria più ampia della sola cultura) pro capite sono pari a 113 nel 2003, posto la media italiana pari a 100. Rispetto ad altre regioni, in Toscana (così come in Emilia) i diversi livelli dell’amministrazione sviluppano politiche più mirate al settore ricreativo e culturale rispetto ad altri ambiti di spesa, con un peso dei consumi collettivi per attività ricreative e culturali pari al 2,7% del totale.
Osservando il ruolo dei diversi enti pubblici attraverso l’analisi dei dati di bilancio consolidato emerge che l’amministrazione statale spende un terzo delle risorse (32%) destinate alla cultura e ai servizi ricreativi, mentre l’impegno prevalente viene assunto dalle amministrazioni comunali (58%) che assumono un ruolo crescente nel tempo.
Stupisce rilevare che il maggior impegno dei comuni risulta ancora più accentuato nella parte di investimenti (ai quali i comuni contribuiscono per il 63% del totale) rispetto alla gestione corrente.
L’amministrazione comunale è, dunque, l’ente più direttamente chiamato a operare sul territorio e anche nel settore culturale le sue competenze e responsabilità, sia in termini di servizi offerti, che di istituzioni gestite è preponderante rispetto ad altri livelli di amministrazione.
La spesa pro capite dei comuni toscani media degli anni 2002/2004 è di 59 euro (65% in conto corrente), di cui 36 destinati alla gestione corrente e 23 agli investimenti. La realtà toscana è maggiormente rivolta all’impegno in questo ambito rispetto ad altre aree del Paese, dal momento che spende risorse per il 50% in più della media italiana. Nel Paese il 3,5% del bilancio viene destinato a questo capitolo di spesa, in percentuali simili per conto corrente e conto capitale, contro il 5% della Toscana.
Siena e Firenze in testa per spesa culturale, Massa e Arezzo fanalini di coda
L’attenzione alla dimensione culturale cambia da comune a comune a seconda delle diverse strategie locali, i capoluoghi spendono molto di più degli altri comuni; tradizionalmente è sempre più alta la spesa del comune di Siena (200 euro pro capite nei tre anni 2003/2005), cui segue Firenze (80 euro pro capite medi) assieme alle altre realtà comunali dell’area metropolitana centrale, Prato e Pistoia, mentre inferiore è la spesa nei comuni di Massa e Arezzo.
Nei cinque anni crescono le risorse destinate alla gestione corrente delle attività dai comuni di Siena, Pistoia e Livorno, rimangono pressochè stabili le risorse destinate a questo ambito di spesa dal comune di Firenze.
L’impegno di spesa non è sempre influenzato dalla classe dimensionale di appartenenza.
Infatti, se è vero che la spesa relativa alla ordinaria gestione è proporzionalmente maggiore nei comuni più grandi, nel corso dell’ultimo periodo sono i piccoli e medi comuni a impegnare risorse proporzionalmente crescenti nel tempo.
Ma, quali sono i comportamenti di spesa dei comuni rispetto alla loro vocazione produttiva? Certamente i comuni a specializzazione terziaria sono quelli che investono maggiormente nel settore, e tra questi i capoluoghi di provincia. Oggi, i grandi comuni urbani e a vocazione turistica sono più impegnati in questo ambito di intervento, ma ad essi fanno seguito tanto i comuni a vocazione industriale che i comuni più periferici, località non particolarmente ricche sul piano delle strutture e a bassissima caratterizzazione turistica (l’area del Valdarno e l’area industriale tra Firenze e la costa), capaci però di esprimere un impegno di spesa in crescita.
I comuni industriali presentano tassi di incremento della spesa nel corso degli anni 2000/2004 del 2,4% medio annuo, contro lo 0,6% dei comuni a specializzazione terziaria.
In crescita la domanda di cultura
La domanda turistica rivolta ai beni storico-artistici trova nella nostra regione un importante centro di attrazione. Tanto che la Toscana si presenta come la terza regione del paese (dopo Lazio e Campania) per visitatori dei musei statali con oltre 5,4 milioni di presenze nel 2005.
La domanda da parte della popolazione toscana è superiore alla media del paese: è superiore il numero di persone che hanno usufruito almeno 1 volta l’anno di attività culturali, così come il numero di biglietti venduti agli spettacoli. Certamente questi dati sono anche il frutto della ricchezza del tessuto culturale in cui la popolazione risiede.
Ciononostante emergono alcune contraddizioni. La domanda, infatti, è concentrata tra un numero ristretto di spettatori e visitatori: a fronte di 70 biglietti venduti ogni 100 abitanti, solo 1 toscano su 5 ha assistito nell’ultimo anno ad una opera teatrale e 1 su 3 ha visitato un museo o una mostra.
Nello stesso tempo la domanda è concentrata territorialmente e su pochi eventi principali dal momento che i visitatori ai musei si rivolgono infatti a poche grande istituzioni: in Toscana l’80% si affolla a Firenze (di cui quasi il 50% nei due musei maggiori degli Uffizi e dell’Accademia) mentre altre istituzioni raccolgono una attenzione più distratta rispetto al loro valore. Tutto ciò pone interrogativi sulla capacità di diffusione dell’attrattività del turismo culturale e sulla sostenibilità urbana del fenomeno e fa emergere conflittualità tra i possibili usi e popolazioni di utenti (locali e turisti).
L’economia si sta culturalizzando
C’è da dire che intorno a queste questioni le diverse realtà toscane si stanno muovendo, più o meno consapevolmente, secondo i vari schemi proposti dall’analisi economica, recuperando e valorizzando il patrimonio diffuso.
Si pensi che 185 comuni su 287 hanno almeno un museo e 98 hanno almeno un teatro. Ecco dunque che nel Valdarno la crisi della moda porta a verificare le potenzialità attrattive del proprio patrimonio culturale, mentre nei comuni dell’intorno fiorentino (si pensi a Scandicci e a Sesto F.no) vengono elaborate proposte innovative rivolte a consumatori culturali con forti identità metropolitane (una fascia di popolazione in lenta e inesorabile crescita).
Si confrontano, quindi, nel territorio strategie di valorizzazione diverse.
In alcuni casi il focus è posto sulla valorizzazione del patrimonio locale, con l’obiettivo di farne una risorsa economica da integrare o sostituire al settore manifatturiero, mirando ad un percorso di crescita non conflittuale e sostenibile. In altre aree si afferma, invece, la visione di una integrazione tra politiche culturali ed economiche rivolte a far leva sulle potenzialità di innovazione della cultura all’interno dei processi proiduttivi. In ogni caso, pur con approcci alla valorizzazione differenti -più o meno potenzialmente efficaci-, l’attenzione a questa risorsa economica da parte delle comunità locali è forte e crescente e questo volume, nato all’interno di un percorso formativo sulla cultura quale asset strategico per le imprese toscane, ne è testimonianza; e proprio in questa direzione importanti i contributi di Pier Luigi Sacco e Davide Dragone (“Il futuro dell’Economia della Cultura.
Ovvero: come e perché l’economia si sta “culturalizzando”) e di Roberta Comunian (“Il ruolo delle imprese nello sviluppo culturale del territorio”).