Questo il titolo del corso di studi che la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, in collaborazione con Pfizer, ha programmato per sabato 11 novembre, a partire dalle ore 9, presso l'hotel relais Certosa in via Colle di Ramole di Firenze. L'incontro è rivolto a geriatri, cardiologi e medici di medicina generale ed è stato organizzato con l'Unità Funzionale di Gerontologia e Geriatria presso il Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgia dell'Università degli Studi di Firenze e la Sod di cardiologia Geriatria dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi.
Com'è noto le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di morte nel nostro Paese, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi.
In particolare la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, rendendo conto del 28% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori. Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico. La malattia modifica la qualità della vita e comporta notevoli costi economici per la società. In Italia la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4,4 per mille (dati Istat).
L'incontro di studi programmato a Firenze dalla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, intende fare il punto della situazione sulle malattie cardiovascolari in generale e sui rischi specifici nella popolazione anziana.
In Toscana, secondo le stime elaborate dall'Istituto Superiore di Sanità nell'ambito del Progetto Cuore, fra le persone di età compresa fra 65 e 74 anni è elevata, rispetto alle medie nazionali, la percentuale di ictus fra gli uomini (3,3%), di infarto fra le donne (1,3%), di angina pectoris sia fra gli uomini che fra le donne (7,4% e 8,2%). E preoccupanti sono anche le percentuali che riguardano l'ipertrofia ventricolare sinistra, una conseguenza della ipertensione arteriosa, che è un fattore di rischio cardiovascolare indipendente, con frequenza del 4,5% negli uomini e 4,7% nelle donne, e l'attacco ischemico transitorio, il Tia (2,1% negli uomini e 2,2% nelle donne).
"Le malattie cardiovascolari - spiega il professor Giulio Masotti,direttore dell'Unità Funzionale di Gerontologia e Geriatria presso il Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgica dell'Università degli Studi di Firenze e Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi - costituiscono, anche fra gli anziani, un importante problema di sanità pubblica in quanto sono fra le cause di mortalità, morbosità, e invalidità più diffuse. Cardiopatie ischemiche, come l'infarto, e malattie cerebrovascolari, come l'ictus, rappresentano un alto costo per la società perché possono portare a invalidità precoce, parziale o totale, con conseguente riduzione o modificazione dell'attività lavorativa e nei più anziani a disabilità permanente.
Circa la metà dei casi fatali prima dei 70 anni si verifica in modo improvviso e inatteso, fuori dell'ospedale e non sempre la vittima può essere adeguatamente soccorsa. La prevenzione, pertanto, rappresenta la prospettiva più valida. Infatti un approccio preventivo può correggere le condizioni, ossia i fattori di rischio, che rappresentano i precursori lontani di molte malattie cardiovascolari. Ormai da tempo sono stati identificati i fattori che predispongono l'organismo a malattie cardiovascolari.
Fumo, obesità, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete, sedentarietà: anche in Italia, come negli altri paesi industrializzati, sono queste le caratteristiche che influenzano il rischio. Infatti la presenza di questi fattori aumenta di circa il 50% la probabilità di ammalarsi".
Il professore Niccolò Marchionni, ordinario di Geriatria dell'Università di Firenze e presidente eletto della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia, sottolinea inoltre come, accanto ai fattori di rischio cardiovascolare classici, siano "sempre più numerose le evidenze di un ruolo del profilo emozionale sul rischio cardiovascolare.
In effetti, è ormai ampiamente dimostrato che, attraverso vari meccanismi già identificati, i disturbi del tono dell'umore in senso depressivo, aumentano il rischio di malattie cardiovascolari. Ciò apre un nuovo fronte di possibile intervento nella prevenzione primaria e secondaria di questa malattia con elevato impatto negativo sullo stato di salute della popolazione anziana".
Dolore cronico oncologico: un percorso assistenziale integrato
E' a questo tema che la Società Toscana di Terapia del Dolore e Cure Palliative "Vincere il Dolore onlus", ha deciso di dedicare il convegno di studi, promosso con il contributo di Pfizer Italia e MundiPharma, in programma per sabato 11 novembre all'AC hotel in via delle Torri a Pisa.
"L'adeguato trattamento del dolore cronico, anche in oncologia - spiega il dottor Paolo Poli, presidente della società Vincere il Dolore - resta ad oggi uno dei principali problemi di salute pubblica. Si stima, infatti, che dal 40 all'80% dei pazienti con dolore oncologico non riceva un'adeguata terapia del dolore. Questi dati acquistano un significato ancora più profondo se si considera che circa il 90% dei pazienti potrebbe rispondere in maniera ottimale ai farmaci oggi a nostra disposizione".
Definito come "dolore totale", il dolore da cancro può essere considerato come un fenomeno duplice dettato dalla percezione della sensazione e dalla reazione emozionale che da essa scaturisce.
Le cause organiche del dolore oncologico possono essere dovute al coinvolgimento diretto da parte della neoplasia, alle complicanze della terapia antineoplastica, alle complicanze della stessa terapia antalgica, alle alterazioni biochimiche e fisiologiche legate alla neoplasia, a patologie dolorose non legate al cancro o alla terapia ed a combinazione dei precedenti fattori.
"Ma il dolore da cancro - spiega ancora il dottor Poli - si può combatte efficacemente nella quasi totalità dei casi e soprattutto la terapia del dolore da cancro, specie nella fase iniziale, è facile da gestire e non sempre va prescritta o eseguita da super specialisti in terapia antalgica".
Da una ricerca epidemiologica, pubblicata nel corso del 2005 sull'European Journal of Pain, si evince addirittura che il 18% della popolazione europea sia affetta da un dolore cronico di varia natura, quella oncologica compresa, da almeno sei mesi.
Dalla stessa ricerca emerge che:
- un italiano su cinque soffre di dolore cronico (44% uomini 56% donne);
- età media di 48 anni con il 23% di età compresa tra 18 e 30 anni;
- il 49% sono casalinghe;
- 45% dolori cronici da patologie osteoarticolari;
- 10% da lesioni traumatiche;
- 7% da sofferenza cervicale (colpo di frusta);
- il 25% degli intervistati con dolore cronico ritiene che il dolore interferisca sulla propria qualità di vita con 15 gg di media di assenza dal lavoro;
- il 17% ha perso il lavoro;
- i trattamenti farmacologici sono i trattamenti di elezione ma il 22% li compra ma non usa farmaci spaventato dagli effetti collaterali;
- il 60% ha fatto fisioterapia o trattamenti alternativi (34% massaggi; 15% terapia fisica).
Ma chi soffre di dolore attende spesso molti anni per avere una diagnosi e una cura appropriate.
In questo lasso di tempo, il paziente soffre per una malattia della cui esistenza dubita perfino lui, rischiando depressione, insonnia e altri disturbi emotivi, con un pesantissimo impatto sulla qualità della vita.