In un giorno di primavera, Zoraima viene arrestata e gettata in carcere. Ma dopo lo sgomento iniziale, paradossalmente, la solitudine estrema le restituisce la libertà. Gli anni della clandestinità e della militanza erano stati tempi di rigore, odore di ciclostile, occhiali scuri e finestre chiuse. Ora, nel carcere, scopre la vita, la possibilità di spalancare le finestre. Di riaprire alla luce tutti gli anfratti della sua anima, disabitati ormai da troppo tempo. Comincia così il dolente viaggio purgatoriale di Zoraima, alter ego dell’autrice, alla ricerca di barlumi di senso e di un’esistenza più autentica.
Adriana Faranda, attraverso una lingua carica di espressività e passione, realizza in questo libro di carne viva un affresco di vite che si sono perse, di donne che non hanno più un centro, una direzione. Sono prostitute, terroriste, tossicodipendenti, landruncole, zingare, donne maltrattate dal destino e nate sotto una cattiva stella. I loro nomi sono quelli di fiori spesso rari e selvatici che crescono in lotta perenne per la sopravvivenza. Sono Ferula, l’irriducibile priva di dubbi, “asserragliata in un silenzio di filo spinato”, l’impetuosa Heliantha, eroinomane che muore suicida, Prugnola, ispida e selvatica, che ha ucciso a colpi di pietra il suo pappone, Peonia, bambolina d’altri tempi, entrata nel partito armato per amore del suo compagno ucciso e subito arrestata.
E tutte tenacemente alla ricerca di qualcosa che sia sempre e ancora vita, un percorso penitenziale in cui la pietà umana cerca di prevalere sulla tentazione di giustificarsi, di commiserarsi. Poi un giorno per la protagonista arriva il punto di non ritorno. E’ come il compimento di una rivoluzione personale, un cambio radicale di prospettiva: è l’esecuzione sommaria, filmata e trasmessa in tv, del fratello innocente di un celebre pentito, “quell’ignominia senza appello” che cala una pietra tombale su sogni ingannevoli di albe radiose e sull’illusione che una legge morale possa sopravvivere alla guerra e alla scelta fratricida del terrorismo.
“Voi non avrete mai le nostre ragioni più profonde, non avrete neppure il nostro spirito di ribellione contro le ingiustizie. Non avrete neppure più la nostra vita, di speranza e di sogni, perché non siamo più disposti ad ucciderla nell’odio”.
Adriana Faranda, nata nel 1950, siciliana, alla fine degli anni Sessanta entra in Potere Operaio. All’epoca del sequestro Moro, fa parte della colonna romana ed è membro della direzione strategica delle Brigate Rosse. Si oppone, con Valerio Morucci, suo compagno di vita, all’uccisione dello statista democristiano.
Esce così dal partito armato, per fondare un altro gruppo politico clandestino, finchè, arrestata il 29 maggio 1979, entra nella cosiddetta area della dissociazione. Sconta sedici anni di carcere e, dal 1995, è una donna libera.