Nuovo appuntamento al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze per un’esposizione riguardante una selezione di ottantacinque opere, tra disegni e stampe, di Italo Cremona (1905-1979). La mostra, promossa dal Gabinetto Disegni e Stampe con la collaborazione dell’Archivio Storico Italo Cremona di Torino, della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, della Cineteca di Bologna e dell’Institut Français de Florence, rimarrà aperta nella Sala Detti del Gabinetto Disegni e Stampe dal 12 luglio al 10 settembre 2006.
E’accompagnata da un catalogo a stampa introdotto da Antonio Paolucci, coordinato scientificamente da Marzia Faietti, con contributi di Sigfrido Bartolini, Roberto Lupo, Anna Modena, Giuseppe Nicoletti (Leo S. Olschki Editore, Firenze - Collana del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi XCIV).
Avvoltojo subalpino è un’espressione coniata da Roberto Longhi per l’intelligente, inquieto, visionario, malinconico lombardo - piemontese Italo Cremona, i cui artigli, a suo dire, non avevano risparmiato «il fragile tubercolotico Klee».
A sua volta Longhi ricevette in cambio dall’artista un’espressione altrettanto felice e degna di un Maestro: Gran Margravio delle Langhe.
Il Gran Margravio delle Langhe Roberto Longhi e il Selvaggio Mino Maccari costituiscono due poli di riferimento ineludibili per chi voglia comprendere alcuni degli aspetti della sfaccettata quanto complessa personalità di Cremona, critico acuto e artista interessante, che la mostra odierna e il catalogo che l’accompagna si propongono di illustrare.
Il primo, Roberto Longhi, ebbe un rapporto piuttosto intenso con il nostro artista, di cui apprezzava la penna, al punto da ospitare nella sua rivista fiorentina “Paragone” una rubrica di Cremona, significativamente intitolata Acetilene.
Al secondo, Mino Maccari, spettò il merito di avviare il pittore Cremona sulla strada della grafica. Del resto, era stato proprio Longhi, in un contributo del 1938 dedicato a Maccari illustratore e disegnatore, lodato senza riserve dall’illustre studioso, a scrivere «[…] almeno dai primi del Novecento (per chi non voglia rimontare più in su al crocicchio delle vie Toulouse-Lautrec, Van Gogh e Gauguin), l’arte è molto più sotto il segno dei “grafici” che dei pittori, […]». Una triangolazione, dunque, quella di Longhi-Maccari-Cremona, degna di essere ulteriormente indagata.
Dedicata alle opere su carta di Italo Cremona acquisite dal Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi tramite diverse donazioni ricevute nel 1996 (dalla vedova Cremona) e tra il 2004 e il 2005 (dall’Archivio Storico Italo Cremona), la mostra intende offrire un’ampia selezione dei disegni e, soprattutto, delle stampe dell’artista, spesso accompagnate dagli studi preparatori.
L’analisi dell’attività incisoria è dovuta a Sigfrido Bartolini, artista a sua volta e amico personale di Cremona, nonché profondo conoscitore della materia (spetta a lui il volume monografico sull’opera incisa uscito nel 1994 presso la Libreria Prandi di Reggio Emilia). I contributi di Anna Modena e di Giuseppe Nicoletti chiariscono, invece, aspetti differenti della personalità critica cremoniana, soffermandosi rispettivamente e, in particolare, sul rapporto con Roberto Longhi e con Mino Maccari.
A Roberto Lupo, appassionato Presidente dell’Archivio Storico Cremona, spetta una commovente testimonianza biografica su Cremona. La catalogazione delle opere esposte, in parte ottenute in prestito, per completezza di documentazione, dall’Archivio Storico, è affrontata da tre giovani studiosi, Elisa Maggini, Ilaria Rossi e Raimondo Sassi. Un aspetto della articolata curiosità e della multiforme attività dell’intellettuale Cremona riguarda, tra il 1937 e il 1949-1953, la sceneggiatura di film, che annovera diversi titoli assai celebri, come ad esempio, La figlia del Corsaro Verde, 1940; Cenerentola e il signor Bonaventura, 1941; Calafuria, 1942; Dagli Appennini alle Ande, 1942-1943.
A questo proposito la Cineteca di Bologna e l’Institut Français de Florence dedicheranno all’artista, in concomitanza con l’apertura della mostra, la proiezione del film “Confessione” (Italia, 1941) di Flavio Calzavara, (7 luglio, ore 10,30: Cineteca di Bologna, Cinema Lumière 2; 11 luglio, ore 21.00: Institut Français de Florence).
Anche dalla sola osservazione della grafica e dei disegni risulta evidente che Cremona non è un artista dallo scherzo facile e fine a se stesso: si intuisce costantemente un vortice profondo di pensieri cupi, persino nei momenti (e nei soggetti) in cui sembra trionfare la carnalità, come nella stampa che commenta la poesia del poeta bolognese barocco Claudio Achillini, un vero trionfo di mammelle, rotonde e morbide.
L’atteggiamento di Cremona, osservatore attento, nei suoi nudi, delle sinuose linee femminili, è del tutto diverso da quello trionfante e vitalistico di Achillini, che si perde serenamente nel naufragio dei sensi, deciso a trovare rifugio nel porto sicuro dei due scogli-mammelle della sua Giunone. Ben più complessa è la sensualità di Cremona, profusa anche nelle forme esuberanti e fantastiche delle armi. Quelle armi, spesso così antropomorfe e pronte a colpire, ma talvolta quasi ferite esse stesse, nascondono ben altro.
Un appunto manoscritto dell’artista, rintracciato sul verso di un disegno dell’Archivio Storico, sembra quasi il messaggio di un naufrago affidato alla bottiglia. La trascrizione proposta a seguito rende a tutti chiaro come l’artista Cremona fosse impegnato a tenere a bada la più grande e la più inevitabile delle seccature che l’uomo Cremona ha condiviso con i suoi simili:
«[…] e i figli se ne impossessavano, talvolta le portavano persino a scuola. La prima rivoltella mia riuscii ad averla a tredici anni, la mostrai con fierezza ad un compagno, figlio di un personaggio autorevole, per quanto mi sforzi, non ne ricordo il nome, che se la mise in tasca e mi disse: «se fiati lo dico a mio padre e tu finisci al riformatorio».
Soluzione manzoniana.
Poi fu il fascismo e le rivoltelle si sprecavano ma in tasca ai ragazzi se dovessimo credere a tutti quanti sognano raccontano di averle adoperate saremmo vivi una metà di quanti siamo. La quantità di balle che è stata raccontata narrata in proposito è immensa: in conseguenza di tali balle qualcuno purtroppo ci ha rimesso la pelle…
L’ultimo mio rapporto carnale con pistole e revolver fu a Roma dove abitavo dopo l’8 settembre. Un “ukase” probabilmente tedesco, ordinò la consegna delle armi entro una certa ora ai commissariati di P.
S. Mi affrettai a consegnare due belle cosette che avevo comprato pochi mesi prima e che vidi sparire con dolore in un mucchio di centinaia di revolver e pistole tali da soddisfare tutte le voglie dei [ragazzi] di allora e dei collezionisti di oggi.
Quanto ho detto più sopra può illuminare un poco le ragioni delle incisioni che ho adesso raccolte.
In esse sia chiaro, non c’è nessuna intenzione dissacratoria, caricaturale, pacifista. Qualsiasi cosa, arnese, macchina o strumento che sia, può essere interpretato col disegno in questo o quel modo e servire a rebus, polisensi, scioglilingua enigmi grafici ed è scontato che la forma di queste armi contiene (può suggerire) significati sessuali e purtroppo mortuari.
Del resto “pistoline”, “pistolone” sono modi di dire popolareschi ben noti, e piuttosto scherzosi. E per dire della morte, chissà che questo giocarci intorno senza tirar troppo la corda, sia stato, sia un modo per tenere a bada il più possibile questa inevitabile seccatura.»