“La tragedia di Marco Pantani non è servita a niente”. E ancora: “Le grandi tragedie servono proprio a questo: si prende coscienza di una terribile realtà, si guarda negli occhi il male, si spera che i vivi traggano lezione dai morti, come rito e catarsi. Come processo radicale di rinnovamento. E invece niente”. Poi, per concludere: “Nella tradizione nobile dello sport (sarà mai esistita o è un’invenzione letteraria?) si celebrava la vittoria, ottenuta tanto con lo sforzo fisico, quanto con quello della mente, soprattutto in rapporto agli sfidanti.
Nella modernità, si preferisce invece l’impresa che rappresenta una visione illuministica della gara: è la sfida al Numero, al Limite (che i Greci consideravano giustamente una divinità), all’Assoluto. Questa bruciante ambizione ha fatto sì che lo sport moderno sia pieno di uomini macchina, demolitori di record, costruiti in laboratorio, magari incapaci psicologicamente di sopportare la complessità del mondo”.
Così Aldo Grasso dalle pagine del Corriere della Sera ha commentato oggi l’ennesimo scandalo doping abbattutosi sul mondo del ciclismo.
Scandalo esploso con un boato assordante.
Che, al di là dell’innocenza o della colpevolezza dei nomi coinvolti, ha comunque già fatto vittime illustri decapitando il Tour de France nel volgere di qualche ora.
Ancora, uno scandalo che la dice lunga su quanto lavoro ci sia da fare nel mondo dello sport per allontanare definitivamente la piaga del doping.
Senza dimenticare le parole di Felice Gimondi ai giornalisti e pubblicate da qualche quotidiano oggi: “Ci sono degli indagati che stanno giocando il Mondiale di calcio”.
Insomma, la bufera sembra lontana dal terminare.
[S.R.]