Ad inaugurare la rassegna LA PAROLA AL TEATRO 4/Panoramica nazionale nel teatro contemporaneo, ideata e diretta da Giancarlo Cauteruccio, è RENATO CARPENTIERI, affermato autore, regista e attore di teatro (fondatore de il Teatro dei Mutamenti, e della Società Napoletana di Poesia, attualmente direttore artistico della cooperativa teatrale Libera Scena Ensamble), cinematografico (ha esordito all'inizio degli anni '90, ha lavorato con registi come Gianni Amelio, Nanni Moretti, i fratelli Taviani, Daniele Luchetti e Gabriele Salvatores e nel 1993 ha vinto il Nastro d'argento come miglior attore non protagonista per il film "Puerto Escondido" di Salvatores), e televisivo (è il vice questore Capasso nella fortunata serie «La Squadra»).
Lo spettacolo, scritto da Ameteo Messina e diretto e interpretato da Carpentieri, volge lo sguardo verso l'umanità di un filosofo che ha infisso una pietra miliare del pensiero moderno, indaga la sua dimensione più quotidiana e esplora gli elementi cardine del suo pensiero filosofico facendo “vivere un pensiero critico che assegna alla ragione i suoi compiti e i suoi limiti, rivela le menzogne delle ideologie come quelle del progresso, mette a nudo i sotterfugi del potere, ci spalanca la profondità del cielo coi suoi infiniti mondi e la responsabilità d’una morale che ha in ciascuno di noi tutti il proprio fondamento”.
Sulla scena, un servo astuto e chiacchierone racconta la vita metodica e rigorosa del suo padrone, sulle cui passeggiate venivano regolati gli orologi degli abitanti della cittadina di Konigsberg.
È Lampe, intelligente e sveglio maggiordomo del filosofo Immanuel Kant, ormai giunto agli ottant’anni, che, adirato con il suo servo, lo licenzia dopo venticinque anni di fedele servizio. Sarà attraverso lo stesso Lampe, che si troverà costretto a recitare la parte del suo padrone, che Carpentieri ripercorrerà le tappe salienti della biografia e dell’opera del filosofo. L’identificazione Lampe-Kant si carica di un particolare valore simbolico e psicoanalitico: il filosofo, strenuo assertore della ricerca della verità e dei valori di pace, si confonde con l’uomo comune, si rimescola nelle sue ambiguità e nel suo cedimento momentaneo alla menzogna.
Ne “Il cielo stellato sopra di me” abbiamo l’opportunità di conoscere Kant al di fuori dei suoi libri, dentro una gloriosa tradizione che consegna agli amanti del sapere l’immediatezza quotidiana del formarsi del pensiero in casa propria. Consuetudine inaugurata da Socrate nel Fedone e proseguita, per esempio, da Agostino, da Cartesio e nel Sogno di D’Alembert, ma caduta poi in disuso. Forse per darci l’immagine stereotipa del filosofo severo, arcigno e sempre sulle nuvole, così come Aristofane lo mise in scena.
Il teatro è il luogo dei dialoghi impossibili e pertanto è autorizzato a immaginare una critica della ragion domestica, proponendo al pubblico la semplicissima esistenza del filosofo col quale maggiormente è in debito l’attuale coscienza occidentale. A duecento anni dalla morte, il suo pensiero non ha smesso d’illuminarci.