Firenze, 11/04/06 - "Mi chiamo Max Boris, sono nato nel 1913 e ho novanta anni suonati...", così inizia il suo racconto Max Boris, esponente di primo piano della Resistenza toscana, membro del Comando militare del Partito d'Azione e ultimo presidente del Comitato toscano di liberazione nazionale, morto all'età di novantadue anni il 18 dicembre scorso. Le sue memorie sono ora raccolte nel volume dal titolo Al tempo del fascismo e della guerra, curato da Simone Neri Serneri, ordinario di Storia contemporanea all'Università di Siena e pubblicato dalle edizioni Polistampa (pp.
136, euro 14).
Il libro nasce da una serie di interviste rilasciate dall'autore nell'inverno 2005 e conservate nell'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana, di cui negli ultimi anni Boris era presidente onorario. Le registrazioni sono state trascritte e restituite ad una forma narrativa che mantiene però inalterata la struttura originaria e soprattutto lo stile della conversazione, un espediente letterario in grado di conservare tutta la spontaneità del racconto iniziale.
Quella di Boris è una testimonianza di vita e di impegno attivo nelle file dell'antifascismo, a partire dagli anni Trenta, quando iniziò a frequentare uno dei gruppi fiorentini che originarono il Partito d'Azione, fino alla caduta del fascismo e all'occupazione tedesca, quando entrò a far parte della resistenza clandestina sostenendo la lotta partigiana.
Nel fascismo Boris vedeva la negazione di ogni tipo di libertà e l'esaltazione di idee politiche inneggianti alla guerra e all'ingiustizia nei confronti di chi non ne sposava il pensiero.
"Il periodo fascista l'ho vissuto fino alla sua fine, ed è stato per me un periodo molto importante, ed anche molto difficile...", ricorda l'autore, che ha pagato cara la militanza nella lotta attiva di opposizione al regime: arrestato il 26 febbraio 1944, venne torturato dalla "Banda Carità", detenuto nel carcere delle Murate, trasferito a Fossoli e infine deportato a Mauthausen dal luglio 1944 fino al giugno 1945.
Boris ha deciso di raccontare a tutti la sua drammatica detenzione nel lager nazista (fatta di fame, di sevizie e di ogni tipo di umiliazione) solo quando, ormai novantenne, è riuscito a scendere a patti con la coscienza non facendosi più una colpa del fatto di essere sopravvissuto, al contrario della maggior parte dei detenuti.
Francesca Leoncini