Firenze, 27 gennaio 2006- Un insieme di esperienze, tecniche e progetti, dove l’attività agricola ospita e coinvolge i cosiddetti “soggetti svantaggiati”, le fasce “deboli” della popolazione; dove la coltivazione, l’allevamento e la trasformazione di prodotti si legano a “servizi” di utilità sociale (formazione, inserimenti, affidi, accoglienza, riabilitazione e integrazione lavorativa). E’ questa l’agricoltura sociale – al centro di un convegno che si è tenuto oggi a Montespertoli (Fi), organizzato dall’Arsia - , un termine sempre più utilizzato, e realizzato, ma che in Toscana (ci sono esempi anche in altre regioni italiane fra cui Sicilia, Sardegna e Veneto) non è senz’altro nuovo. L’Arsia (l’Agenzia della Regione Toscana per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricolo e forestale) ha avviato (a partire dal 2003) un progetto di conoscenza, approfondimento e animazione su queste attività, all’interno del più generale supporto ai percorsi innovativi della multifunzionalità e dello sviluppo rurale.
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La conoscenza dei processi del lavoro agricolo, l’ambiente, i tempi ed i ritmi della campagna, appaiono cioè un’occasione facilitante e “terapeutica” per tante forme di disagio. Inoltre l’azienda e il mondo rurale dimostrano la capacità di offrire servizi di carattere sociale per la comunità locale e per le stesse aree urbane. Si tratta di un fenomeno della multifunzionalità, come è emerso dal progetto triennale (2003-2005) dell’Arsia, che collega i processi produttivi con le risorse umane, la domanda di ruralità con la responsabilità sociale d’impresa, arrivando a monitorare oltre 50 aziende agricole e cooperative in tutto il territorio regionale.
Ma la realtà è ben più rilevante: sono almeno il doppio infatti le realtà simili, molte di piccole dimensioni, ma che portano il totale degli addetti “con disagi” ad essere impegnati in agricoltura ad alcune centinaia. Si calcola che negli ultimi dieci-quindici anni sono circa 1000 le persone a “bassa contrattualità sociale” o “svantaggiate” che hanno avuto dalla campagna, una risposta sociale positiva, temporanea o definitiva. C’è da sottolineare inoltre che mentre accogliere un portatore di handicap in una struttura sociale o centro di accoglienza costa alla collettività circa 300-400 euro al giorno; la vita in campagna oltre ad avere un costo zero, ne esalta le capacità fino ad un reinserimento nella società.
Realtà in cui da molti anni si conducono attività di forte rilevanza sociale: dalla formazione professionale all’inserimento e accoglienza, dall’integrazione lavorativa al recupero e riabilitazione, fino all’ospitalità per turismo sociale (a beneficio delle più diverse forme di disagio e di soggetti a bassa contrattualità: handicap fisico e psichico, storie di carcere, tossicodipendenze, minori in abbandono). <
Da sottolineare poi, nel caso toscano, la compresenza di una forte motivazione ideologica (la scelta etica, la responsabilità sociale dell’impresa) da parte dei singoli o dei gruppi promotori dell’esperienza, con una più recente motivazione professionale e d’approccio riabilitativo (spesso in collaborazione col sistema pubblico dei servizi). Il patrimonio delle conoscenze accumulate e censite in Toscana in questi ultimi anni – conclude - può rappresentare un punto di forza per apportare nuove e significative esperienze per il futuro>>.
(lb)