Tolte con una graduale e delicata pulitura le vernici alterate dal tempo e le ridipinture, la Pala Dei o Sacra Conversazione del Rosso Fiorentino, brilla di un’intensità e di una bellezza cromatica inimmaginabili prima. Azzurri, viola, giallo arancio screziato di bianco, rosa ciclamino, la raffinata e travolgente cromia fanno di quest’opera uno dei capolavori del genio fiorentino.
Venerdì 9 dicembre 2005, il dipinto torna visibile al pubblico, dopo il restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze in accordo con la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino e la Galleria Palatina.
L’opera sarà esposta fino al 26 febbraio 2006 in Sala Bianca per documentarne il restauro e successivamente nella Sala Iliade riacquistando così la collocazione originale ottocentesca.
Un restauro importante che ci riconsegna un capolavoro in tutta la sua bellezza ed importanza storica. Sotto l’ampliamento secentesco, le ridipinture e le patine, che avevano attutito la carica innovativa del quadro, è riemersa la straordinaria gamma cromatica e la dimensione spaziale originale.
La Pala Dei dopo il restauro si colloca a pieno titolo come tappa fondamentale ed innovativa fra la “Deposizione di Volterra” (1521) e lo “Sposalizio della Vergine” (1523).
Con “la rivoluzionaria abolizione degli inquadramenti architettonici” il Rosso Fiorentino rappresenta nella Pala Dei la scena della Vergine in trono contornata da santi: in primo piano Santa Caterina (o Maria Maddalena), a sinistra San Pietro, San Ranieri (e non Sant’Antonio abate come si credeva fino ad oggi), San Maurizio e un giovane santo non identificato; a destra San Sebastiano, San Bernardo in ginocchio, San Giacomo maggiore, San Giuseppe e Sant’Agostino “torvo, inquieto, dolente che guarda di sbieco l’osservatore”.
Il gruppo è “compresso in uno spazio di profondità assai ridotta”, che non ha precedenti nel Rosso, “tenuto insieme dal rapporto avvolgente dell’ombra con la violenza esplosiva dei colori e da una logica inedita di un punto di vista ribassato e ravvicinato che travolge e coinvolge lo spettatore”.
La Pala fu eseguita nel 1522 per l’altare della Cappella della famiglia Dei, nella chiesa agostiniana di Santo Spirito: firmata e datata “RUBEUS FAC. MCCCCCXXII”. Alla fine del Seicento il dipinto fu acquistato dal Gran Principe Ferdinando De’ Medici per la collezione di Palazzo Pitti (i documenti confermano che nel 1691 l’opera si trovava già nella collezione medicea che a partire dal 1690 si arricchisce di pale d’altare di grandi dimensioni).
Secondo il gusto del tempo, la pala fu ampliata su tutti e quattro i lati per inserirla in una nuova cornice di gusto barocco adeguandola per forma e misura all’allestimento dell’appartamento del principe. Le parti aggiunte furono dipinte da un pittore di corte, tradizionalmente indicato in Niccolò Cassana.
Ed è proprio la modalità di giunzione tra le parti originali e aggiunte del dipinto la causa di uno dei più gravi fenomeno di degrado subiti dall’opera: alcune fratture passanti che tendevano ad ampliarsi nel tempo.
La pala presentava inoltre, una generale alterazione dei valori cromatici della superficie pittorica causata da densi strati di sudicio e di materiali sovrapposti dai vecchi restauri.
Infine alcune ridipinture “assai disturbanti” eseguite dal pittore di corte, erano state sovrapposte all’originale sia per aggiungervi alcuni elementi iconografici (ruota e spada di Santa Caterina) che per ottenere una migliore omogeinità di colore e tono (i manti dei Santi alle due estremità).
Un intervento consistente che ridusse la forte carica espressiva dell’opera a favore di una lettura più accademica e classicistica.
Il restauro iniziato nel 1996 ha dovuto affrontare in prima istanza una scelta fondamentale: riportare il Rosso alla sua origine, liberandolo dalle successive aggiunte, oppure lasciarlo come la storia lo ha consegnato, trasformato da dipinto di devozione a quadro di galleria? La scelta di fondo è stata quella di conservare l’insieme per il suo indubbio valore storico, ma allo stesso tempo risanare i danni e consentire una più chiara lettura dei valori espressivi.
Eseguite le indagini diagnostiche, il restauro è avanzato con una graduale e delicata pulitura della superficie pittorica a cui è seguita l’esame della riflettografia digitale a scanner che ha rivelato, sottostante la pittura, il disegno preparatorio del Rosso Fiorentino, ricco di varianti, dal “tratto sottile, nervoso, elegantissimo che abbozza le teste, le mani ed i panneggi ed interviene e modifica con sicurezza”. La fase successiva è stata quella di separare la parte originale del dipinto dalle aggiunte e di risanarne separatamente la struttura, infine di procedere al loro rimontaggio con nuove modalità tecniche più elastiche in grado di non causare fenomeni di degrado.
Con l’intervento sulla Pala Dei si conclude una fase importante della ventennale collaborazione tra l’Opificio delle Pietre Dure e la Galleria Palatina che ha visto il restauro di numerosi capolavori tra cui le quattro grandi pale d’altare destinate, secondo l’allestimento lorenese, alla Sala dell’Iliade: oltre al Rosso, la Pala Pitti di Frà Bartolomeo (fine restauro 1996) e le due Assunte di Andrea del Sarto (1986).
Ma anche la celebre Madonna del Baldacchino di Raffaello (1991), la cui storia è strettamente legata alla Pala Dei. Commissionate entrambe da Pietro Dei per la cappella di famiglia, quella di Raffaello non vi fu mai collocata. Un mistero su cui la critica non è riuscita fino a oggi a far luce ma che potrebbe essere finalmente spiegato sulla base del restauro e dei documenti inediti ritrovati solo adesso. Da questi emerge che la cappella originariamente dedicata a San Bernardo fu in un secondo tempo dedicata anche a San Sebastiano.
L’opera di Raffaello precedente a quella del Rosso non comprendeva quel santo, motivo per cui il committente avrebbe forse preferito l’una all’altra.
Per l’occasione sarà pubblicato un volume: “La Pala Dei del Rosso Fiorentino a Pitti. Storia e restauro” a cura di Marco Ciatti e Serena Padovani, diciannovesimo volume della collana “Problemi di conservazione e restauro” edita dall’Edifir- Firenze.
Palazzo Pitti, Galleria Palatina, aperta dal martedì alla domenica dalle ore 8.15 alle 18.50, chiuso lunedì - costo biglietto 6,50, ridotto 3,25
Informazioni: Firenze Musei - tel.
055-2654321
SCHEDA TECNICA
Il restauro è stato condotto dal Settore dei Dipinti Mobili dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze, diretto da Cristina Acidini.
L’intervento è stato compiuto da Maria Teresa Cianfanelli con la collaborazione di Alessandra Ramat per la parte pittorica e da Ciro Castelli, Mauro Parri e Andrea Santacesaria per il supporto ligneo, con la collaborazione di Salvatore Meccio.
Indagini scientifiche
Le indagini conoscitive di tipo fisico sono state compiute con il coordinamento di Alfredo Aldrovandi da: Alfredo Aldrovandi e Ottavio Ciappi per la Radiografia Rx; Andrea Cagnini e Natalia Cavalca per la Spettrofotometria di Riflettanza; Roberto Bellucci per la Riflettografia IR digitale a scanner (in collaborazione con l’INOA di Firenze); Pietro Moioli e Claudio Seccaroni per la Fluorescenza X; Fabrizio Cinotti e Annette Keller per le riprese in Fluorescenza UV, Infrarosso Falso Colore e Infrarosso Bianco e Nero.
Documentazione e referenze fotografiche
Le fotografie dell’opera e la documentazione del restauro sono state eseguite dal Laboratorio fotografico dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro, diretto da Alfredo Aldrovandi, con gli operatori: Fabrizio Cinotti e Annette Keller.
I grafici in AutocaD sono stati eseguiti da Andrea Santacesaria.
Volume
Per l’occasione sarà pubblicato un volume: “La Pala Dei del Rosso Fiorentino a Pitti. Storia e restauro” a cura di Marco Ciatti e Serena Padovani, diciannovesimo volume della collana “Problemi di conservazione e restauro” edita dall’Edifir- Firenze.
Oltre al saggio storico artistico di Serena Padovani (le fotografie ex novo sono state eseguite dai fotografi della Soprintendeza Speciale per il Polo Museale Fiorentino Sergio Garbari e Francesco Del Vecchio) il volume contiene i saggi di Marco Ciatti, sui criteri dell’intervento, di Roberto Bellucci e Cecilia Frosinini sulla riflettografia del dipinto.