SAN ROSSORE (PISA) "Siamo commossi per la vicinanza del popolo toscano. Vi ringrazio di cuore". Con queste parole di Moira Mac Farlane, console britannico a Firenze, si è aperta la seconda giornata del meeting di San Rossore. Ieri, tutti i partecipanti al meeting si erano fermati per due minuti in un silenzio di solidarietà verso le vittime degli attentati terroristici a Londra. Oggi il console ha voluto sottolineare questo e i tanti gesti concreti di vicinanza della Toscana dopo la tragedia che ha colpito il Regno Unito.
"A questi eventi drammatici - ha aggiunto - occorre rispondere trovando la giusta soluzione. Perché sconfiggere il terrorismo è necessario, ma non basta: bisogna risolvere i gravi problemi che sono alla base di queste atrocità".
"Realizziamo insieme a tutte le Regioni una grande mobilitazione per far sì che anche l'Italia arrivi a destinare lo 0,7 per cento del suo Pil alla cooperazione e allo sviluppo dei Paesi poveri". Lo ha detto il presidente della Regione Claudio Martini nel corso dei lavori di stamani al meeting di San Rossore.
"Ogni anno - ha aggiunto - cerchiamo di concludere il meeting con qualche proposta concreta. Quest'anno proporremo a tutte le Regioni di contribuire a far crescere la percentuale del prodotto interno lordo destinata ai Paesi poveri. Ogni realtà potrà impegnarsi sviluppando progetti di assistenza, formazione, tutoraggio sui grandi temi della povertà, dell'Aids, della desertificazione, della mancanza di acqua, o altro ancora". La quota dello 0,7 è stata definita in un accordo in sede Onu, ma attualmente solo 5 Paesi al mondo lo rispettano.
L'Italia non raggiunge lo 0,2. "Ma se ogni Regione partecipa con un suo contributo, se si crea una spinta dal basso, sarà più facile raggiungere questo risultato" ha ribadito il presidente. Martini ha anche preannunciato che, nel prossimo autunno in un'apposita riunione, questa proposta sarà presentata anche alle altre regioni europee: "In quella sede definiremo e quantificheremo la quota di ogni Regione. E speriamo di poter raccogliere tante adesioni, non solo dall'Italia, ma anche da tante realtà dell'Unione europea".
"In un così evidente, clamoroso e pericoloso sonno della politica, nel deserto che tutti ci sta coinvolgendo, dobbiamo sottolineare con forza che le spese per la salute rappresentano, in un contesto globale, un investimento per lo sviluppo. E' sbagliato considerarle solo in termini di costi. Ed è sbagliato che le politiche vengano dettate, così com'è successo negli ultimi anni, solo dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale". Rosy Bindi, intervenendo alla tavola rotonda iniziale della seconda giornata del meeting di San Rossore, ha sottolineato con forza il ruolo della politica nel governo dei fenomeni legati alla salute ("Così come si investe in armamenti, si può meglio e più investire in salute e oltretutto questo conviene a tutti perché crea sviluppo economico").
"Il nostro diritto alla salute - ha proseguito Rosy Bindi, ricordando in particolare la situazione africana e quella cinese - è oggi sempre più minacciato dal diritto alla salute negato agli altri. Dobbiamo renderci conto che la malattia di un africano non riguarda solo lui, ma finirà presto per creare problemi a ciascuno di noi. Occorre dunque un grande patto di solidarietà nel mondo perché siamo tutti interdipendenti, ma occorre soprattutto la globalizzazione della politica. Il vero problema sta nel restituire alla politica la sua priorità e questo riguarda anche la situazione nei Paesi emergenti che purtroppo stanno ripercorrendo i nostri gravi errori di ingiustizia sociale".
"Occorre - ha concluso Rosy Bindi - ed è la grande sfida dei nostri anni, una autorità politica mondiale capace di rimettere in sesto un mondo che così com'è proprio non ci piace".
Partecipazione della popolazione alla cura della propria salute. E' questa la ricetta esposta dal palco del meeting di S. Rossore dal professore Paulo Fernando Capucci, direttore del dipartimento della Scuola di Sanità dell'Università di San Paolo in Brasile intevenuto alla tavola rotonda 'Salute: una rivoluzione copernicana'.
Capucci svolge da qualche anno anche il ruolo di segretario per la salute nella municipalità di Gaurulhos, città a 20 chilometri da San Paolo. E proprio per illustrare la realtà di questà comunità ha proiettato un video. "La partecipazione della gente alla gestione dei loro problemi è il nodo fondamentale della mia esperienza a Gaurulhos. Periodicamente vengono organizzate riunioni plenarie dove tutti possono partecipare ed esporre le proprie idee, dare il proprio contributo. Si parla di tutto, anche se uno degli argomenti principali sono senz'altro le politiche sociali, con il diritto alla salute in testa.
Viene deciso come impiegare i fondi pubblici, viene eletto qualcuno con il compito di controllare la spesa, si prendono contatti con le persone che lavorano nelle strutture sanitarie". Nel video proposto da Capucci viene messa in evidenza l'organizzazione sanitaria esistente a Gaurulhos, città industriale di 1 milione e 300 mila abitanti e con uno dei più importanti aeroporti internazionali del Brasile. "Ci sono 200 mila persone che ancora vivono nelle baraccopoli e più di 30 mila nuovi residenti arrivano in città ogni anno, con i problemi che possiamo ben immaginare.
Se si pensa soprattutto che appena 30 anni fa a Gaurulhos vivevano 30 mila persone. La percentuale di violenza è abbastanza alta. Abbiamo cercato e stiamo cercando di organizzare al meglio la comunità, per quanto riguarda servizi sanitari e assistenziali. Ci sono un ospedale generale e uno per bambini, ambulatori, strutture per le famiglie e pre gli anziani. Il diritto alla salute è stato messo al centro delle priorità. Stiamo lavorando anche per migliorare l'ambiente, la sicurezza delle persone, le condizioni di vita in generale".
In conclusione del suo intervento una domanda per Capucci: a quanto ammonta la spesa pubblica annua pro-capite. Risposta: "200 dollari, ancora troppo poco. Soprattutto se rapportati ai quasi 1800 euro dell'Italia e ai circa 4 mila degli Stati Uniti. Resta ancora tantissimo da fare".
"La tecnologia non deve spaventare. Deve essere conosciuta, capita, governata, perché rappresenta una risorsa enorme per migliorare la vita e la salute di milioni di persone". A parlare è il prof. Paolo Dario, professore ordinario di robotica biomedica presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e presidente della IEEE Robotics and Automation Society, intervenuto questa mattina al meeting di San Rossore nella sessione 'Salute: una rivoluzione copernicana'.
E di rivoluzione il professor Dario parla, illustrando alla platea una serie di prodotti hi-tec che, utilizzati dai Paesi in via di sviluppo nelle loro versioni base, potrebbero risolvere e diminuire sensibilmente alcuni scottanti problemi sanitari. "La chirurgia mininvasiva - spiega l'ingegnere - viene utilizzata in Occidente per accorciare i tempi di degenza in ospedale riducendo le spese sanitarie, o per diminuire, quasi annullare, le cicatrici sul corpo del paziente. Lo stesso metodo, utilizzato in Paesi dove la mortalità dovuta ad infezioni post operatorie è molto elevata, ridurrebbe in maniera drastica questo rischio e salverebbe migliaia di vite umane.
Potremmo dire lo stesso per alcuni tipi di esami, utili per prevenire delle malattie come il tumore ma poco utilizzati perché fastidiosi o dolorosi". Dario sembra parlare di un futuro utopico e lontanissimo (dove, ad esempio, ogni famiglia potrebbe avere in casa un microanalizzatore della potabilità dell'acqua), mentre si tratta del lavoro quotidiano e costante dei ricercatori del Sant'Anna che, secondo quanto racconta il loro coordinatore, "sono giovani ed hanno molto a cuore l'impatto sociale del loro lavoro.
Hanno il desiderio di trasformare la conoscenza scientifica in applicazioni pratiche che possano essere utili per migliorare la vita delle persone. Per questo molti di loro aderiscono ad Ingegneri senza frontiere, organizzazione analoga a Medici senza frontiere". Tra i progetti che i ricercatori pisani stanno portando avanti ce ne sono molti per protesi, in particolare protesi di mano. "Stiamo lavorando su varie linee - dice Dario - ci sono le frontiere della massima qualità e quelle del basso costo.
Stiamo realizzando una mano cibernetica, controllata direttamente dal pensiero, capace di trasformare direttamente l'intensione in azione capace anche di trasmettere sensazioni tattili che il soggetto percepisce come 'quasi' naturali. Al tempo stesso abbiamo protesi di silicone a costo bassissimo, che potrebbero essere largamente utilizzate per rimediare ad un handicap che nel mondo è enormemente diffuso a causa delle guerre e di infortui sul lavoro". La protesi di silicone ha suscitato grande interesse in India, e Dario parla di una missione di 15 giorni a Calcutta che si è appena conclusa.
"Purtroppo - spiega il professore - i tempi che passano dall'invenzione biomedica alla sua realizzazione e commercializzazione sono molto lunghi. In media 10/15 anni. La ricerca trova e sviluppa buone idee, poi l'industria le rende applicabili su larga scala. Questo processo non va demonizzato né subito: la ricerca può far veramente del bene ma deve essere interna ed autonoma, e può essere la base per lo sviluppo di una nostra industria biotecnologica".
Sviluppo di politiche sanitarie nazionali da parte dei paesi in via di sviluppo, sostenerne i bilanci nazionali in materia di sanità, accesso ai farmaci a prezzi contenuti, maggiore unità e coordinamento della comunità internazionale nella gestione degli aiuti.
Secondo Stefano Manservisi, direttore generale dello Sviluppo della Commissione Europea, sono queste le piste di azione che meritano di essere potenziate per porre un freno alla situazione dei paesi in via di sviluppo (con un occhio particolare all'Africa sub-sahariana) che lo stesso Manservisi ha definito "vergognosa". "Si è vero - ha aggiunto - è una vergogna vera e propria nei confronti della quale la comunità internazionale sta prendendo dei provvedimenti. Però tutte le promesse di intervento che vengono fatte vanno mantenute.
Il vero problema è che manca un efficace sistema di controllo e spesso le parole non si traducono in fatti". Bastano poche significative cifre per dare un senso alla catastrofe dei paesi in via di sviluppo: nel 2004 sono morti 26 milioni di bambini, per un terzo delle loro madri è mancato qualsiasi intervento sanitario di base; 10 milioni sono morti prima dei 5 anni; 5 milioni sono morti per malattie facilmente curabili; 45 milioni di persone adulte sono morte sempre nel 2004, il 98 per cento di questi nei paesi in via di sviluppo e l'80 per cento sempre per malattie curabili.
"L'Africa - ha proseguito Manservisi - non è un contintente alla deriva, come si vuol far credere, non è un continente immobile: la gente lotta ogni giorno, si dà da fare per cercare di migliorare la situazione. Il problema purtroppo è che non tutti i paesi considerano la salute, nei propri bilanci, come una priorità. Mancano investimenti in ricerca, quelli per rendere più efficienti i canali di distribuzione delle medicine. Da non sottovalutare è anche la fuga dei cervelli da questi paesi, incentivata per ovvi motivi da quelli più avanzati".
Quattro le strade percorribili dalla UE per fronteggiare questo dramma, secondo Manservisi. "In primo luogo i paesi in via di sviluppo devono sviluppare politiche sanitarie e dedicarvi risorse, anche le poche che hanno a disposizione. Devono fare del diritto alla salute una priorità. Secondo, gli aiuti provenienti dai paesi più ricchi devono servire come sostegno ai bilanci degli stati poveri (ad esempio finanziando gli stipendi di medici e infermieri) ed il sostegno non va concentrato alle megalopoli ma va esteso su tutto il territorio.
Terzo, occorre un'azione sempre più decisa per permettere l'accesso ai farmaci a prezzi contenuti e per creare una rete di distribuzione efficace. Quarto ed ultimo, serve un'azione sempre più coordinata da parte della comunità internazionale, non si può operare in ordine sparso. Questo sarebbe auspicabile almeno a livello di UE perché spesso i paesi beneficiari, davanti agli aiuti provenienti da più paesi, hanno un carico amministrativo elevato che vanifica il beneficio degli aiuti stessi".
Non c'è solo l'Africa che soffre e piange, l'Africa che denuncia ingiustizie e umiliazioni.
C'è anche un'Africa che sorride perché non perde la speranza e, nonostante difficoltà e contraddizioni, si pone nuovi traguardi. E' questa faccia dell'Africa che ha voluto presentre oggi al meeting il professor Ousmane Doumbià, docente all'Università di Bamako, Mali. Nel momento in cui ha ottenuto l'indipendenza, nel 1960, il Mali, un paese di 11 milioni di abitanti con un attuale reddito medio pro capite di 240 dollari annui, disponeva in campo sanitario di 75 medici, 64 levatrici, 97 assistenti tecnici, 151 infermieri, tutto personale attivo nei 5 ospedali, 16 centri di salute, 36 punti nascita, 162 ambulatori.
Nei primi anni il neonato governo del Mali decise una politica di totale gratuità delle cure e della fornitura dei farmaci, così come la totale gratuità dell'istruzione. Ci sono voluti pochi anni per far piombare in crisi il bilancio statale. Si è così scelto di affidare anche alle comunità locali parte degli oneri, dal 10 al 25% della spesa. A quel punto la Banca Mondiale è intervenuta con i suoi aiuti. Ora in Mali ci sono 1000 medici, 589 levatrici impegnati in 152 cliniche tra pubbliche e private, la copertura sanitaria è passata in pochi anni dal 4 al 45%, così come le vaccinazioni.
Tutto bene? "Putroppo no - ha proseguito il professor Doumbià - Esistono ancora grossi problemi come la carenza di farmaci essenziali, l'instabilità del personale, le difficoltà create dai contrasti politici nella gestione delle strutture. Abbiamo risolto il problema della disponibilità delle strutture ma non quella dell'accesso alle cure, il cittadino è obbligato a pagare per la sua salute, così come anche per l'istruzione dei propri figli".
"La devolution? La miglior risposta a chi la propone è una risata.
Usciamo da questi giorni di San Rossore con la consapevolezza che la nostra salute dipende dalla salute dei miliardi di persone che popolano il mondo e anche dalla salute del pianeta. Esattamente il contrario della ristrettezza e della visione angusta di quanto propone la Lega". E' la risposta dell'assessore al diritto alla salute Enrico Rossi alla domanda sulla devolution con cui il moderatore Roberto Turno ha introdotto il suo intervento. Tre i punti che stanno a cuore all'assessore Rossi. "Ieri - ha ricordato - Giovanni Berlinguer ha sottolineato il fallimento delle politiche neoliberiste in tema di sanità, politiche che hanno ridotto i cittadini a meri consumatori.
C'è stata una inversione tra mezzo e fine: il fine non è più la salute, ma il profitto. Ora si sta pian piano riprendendo il cammino verso una sanità intesa come diritto universale". Secondo punto, la sanità pubblica: "Se vogliamo davvero una sanità per tutti, la miglior forma è la sanità pubblica, che investe in prevenzione e si preoccupa dei determinanti di salute. Di fronte a noi ci sono possibilità straordinarie dal punto di vista tecnologico. Ma dal punto di vista politico dobbiamo saper porre il problema della sanità per tutti e indirizzare le risorse verso quei settori che garantiscono il raggiungimento di questo obiettivo".
Terzo punto, la sanità non come spesa ma come fattore di sviluppo. "Per l'ideologia liberista, la sanità è una spesa, uno spreco, una palla al piede nel cammino verso lo sviluppo. Invece la sanità può essere per noi un grande fattore di sviluppo, che traina l'industria che produce tecnologia. Oltretutto, la sanità pubblica costa meno". Rossi ha ricordato il suo nuovo ruolo di coordinamento di tutti gli assessori regionali alla sanità: "Oggi pomeriggio ci riuniremo qui a San Rossore con tutti gli assessori, e lavoreremo anche in questo senso, per una sanità come fattore di sviluppo.
Inoltre, come Regione Toscana facciamo parte di una rete europea per la difesa della sanità pubblica. E facciamo da anni interventi di cooperazione internazionale, che senz'altro fanno bene a chi li riceve, ma fanno bene anche a noi, perché ci aiutano a ritrovare il senso di un servizio sanitario pubblico". "Un mondo in salute - ha concluso l'assessore Rossi - è un mondo che sa prendersi in carico chi sta soffrendo. Da queste giornate prendiamo la spinta per fare di più e meglio".
Pensiamo a volte a paesi lontani.
Ma anche nel continente Europa ci sono 10 paesi su 52 dove la spesa media per salute non supera i 54 dollari pro-capite l'anno. Non sono i 16 dollari in dodici mesi che al massimo si può permettere la Nigeria, ma sono decisamente inferiori ai cinquemila spesi negli Stati Uniti (dove pure i problemi non mancano). "Anche in Europa ci attendono nuove sfide e sfide importanti" sottolinea a fine mattinata Erio Ziglio, direttore dell'Ufficio europeo per gli investimenti e lo sviluppo dell'Organizzazione mondiale della sanità.
"Dobbiamo ridurre i divari che ancora separano città e regioni in un'Europa che è di fatto un piccolo microcosmo - spiega, mentre sullo schermo scorrono immagini che sembrano da terzo mondo - Quattordici anni separano le migliori aspettative di vita di bambini nati all'interno dello stesso continente. Il 17-18% della popolazione europea vive in condizioni di povertà. E la povertà, che è una malattia trasmissibile di padre in figlio, spesso è una delle cause della mortalità". Per la rivoluzione copernicana tanto invocata per due giorni nell'affollato tendone nel parco di San Rossore, Ziglio propone di investire di più sulla prevenzione anziché solo per le cure.
Proietta un grafico a forma di triangolo: la sviluppo della salute sta al vertice, alla base c'è lo sviluppo sociale e lo sviluppo economico. I tre fattori sono strettamente correlati. "Dobbiamo spostare il focus della nostra attenzione e servono investimenti più bilanciati - ripete più volte - Dobbiamo concentrarci di più sugli aspetti salutogenici e di meno su quelli patologici. Dobbiamo passare dall'emergenza allo sviluppo, dalla semplice spesa agli investimenti. Oggi spendiamo troppo poco per la promozione della salute e molto per le cure".
Dobbiamo anche accordare i suoni di tutti, lascia intendere Ziglio. E fa l'esempio della cooperazione sanitaria, dove "serve un sistema di interventi e non tante azioni diverse slegate", dove "ad interventi settoriali si devono sostituire interventi intersettoriali".