Uliveto Terme (Pisa) – A Marcello Lippi la Tv criptata non piace. Soprattutto dopo che Sky ha messo le mani su tre quarti del Mundial 2006. Soprattutto se questa sorte dovesse capitare un giorno alle finali di Champions League, Europei o del Mundial stesso. “Spero che non accada mai, sarebbe profondamente ingiusto. Sono grandi eventi di massa che le masse devono poter vedere liberamente”, ha detto apertamente il Ct della Nazionale intervenendo ieri a Uliveto Terme a un convegno su Calcio e TV organizzato dalla Lamica, l’associazione dei medici del calcio presieduta dal professor Enrico Castellacci che degli Azzurri è appunto il medico.
Il giogo televisivo grava sul campionato più bello, ma anche più teledipendente del mondo.
Al punto che lo stesso presidente Ciampi non si fatto scrupolo di dichiarare che “i danari dei diritti tv possono essere una droga che uccide il nostro calcio”. Della tv il calcio non può certo fare a meno, hanno ricordato molti, tra cui Gigi Simoni, ma è pur vero, ha insistito Lippi, che dal martedì alla domenica ormai non passa giorno senza un qualche evento calcistico in palinsesto.
Troppo? Troppo poco, ha chiesto Amedeo Goria, giornalista Rai chiamato a condurre il dibattito? Di certo c’è che, fra coppe e campionato, le emittenti maggiori assicurano 1200 ore di calcio giocato all’anno, tralasciando le tv locali e la cascata di programmi di pallone più o meno parlato e, sempre più spesso, urlato.
Ora che Sky ha chiesto una partita di A posticipata al lunedì il quadro si completa, insieme alla sensazione di disagio che il mondo del calcio più o meno velatamente manifesta per questo vassallaggio.
“I bilanci dei club italiani dipendono per il 70% dai diritti Tv”, ha spiegato Marco Ricceri, segretario generale dell’Eurispes, presentando al convegno una ricerca sul binomio calcio-tv, “Al contrario, in Inghilterra biglietti e merchandising incidono per oltre il 50% in virtù di una serie di norme lungimiranti che hanno rivoluzionato il settore, consentito ai club di acquistare e ammodernare gli stadi (ora hanno ristoranti, asili nido, negozi, etc) e riconquistato milioni di spettatori”.
Da noi, ha aggiunto Ricceri, gli stadi continuano a svuotarsi con deficit tremendi nelle ultime stagioni, da 9,5 a 7,8 milioni di spettatori, un crollo di oltre il 20% dovuto in parte alla crisi economica generale, ma soprattutto al moltiplicarsi dell’offerta televisiva gratuita o a pagamento.
Dati 2004: in Inghilterra gli stadi vendono in media il 91% dei posti disponibili, in Germania l’80%, in Italia il 59%.
Il quadro che l’Eurispes disegna del calcio italiano è comunque quello di un’industria di grandi numeri, per di più con aspetti di efficienza considerato che ogni anno organizza e gestisce puntualmente 70 mila partite. Ecco altre cifre: per 7,8 milioni di presenze allo stadio 25 milioni di persone guardano il calcio in tv. I praticanti a diverso titolo sono 4 milioni (1,5 gli atleti), 26 mila le società affiliate alla Figc, 50 i tecnici iscritti all’albo, 22 mila gli arbitri.
In più abbiamo, unici in Europa, quattro grandi quotidiani sportivi (Gazzetta e Corriere dello Sport, Tuttosport e il più recente, il Quotidiano Sportivo).
Sono le cifre di un impero che Mediobanca colloca al 13° posto tra i gruppi industriali grazie ai 4,2 milioni di euro di giro d’affari. Un’industria con le sue regole strette tra le esigenze degli sponsor, della tv, della quotazione in borsa, degli ingaggi miliardari, dei bilanci perlopiù in rosso e dell’ansia di fare risultato, giacché per le prestazioni negative si pagano prezzi non indifferenti (l’eliminazione dell’Italia al 1° turno agli europei 2004 è costata agli sponsor 120 milioni di euro).
In questo contesto diventa complicato anche il lavoro del Ct azzurro, convocare un giocatore piuttosto di un altro può paradossalmente implicare la salvezza economica o la rovina di un club.
“Aspetti ai quali non penso e da cui non mi lascio assolutamente influenzare”, ha sentenziato Lippi, “Se così non fosse sarebbe la fine del mio lavoro e della stessa Nazionale”.
Molti consensi, in ogni caso, per l’indagine Eurispes che Ricceri ha concluso ricordando le indicazioni di vari analisti finanziari, del parlamento italiano e della stessa commissione UE.
“Occorre seguire il modello inglese e riportare equilibrio in una situazione che vede le nostre 5 maggiori società accaparrarsi il 70% dei ricavi, contro il 46% della Gran Bretagna. Quanto ai diritti tv, la contrattazione individuale indebolisce i club minori ed è quindi opportuno tornare alla contrattazione collettiva. Ma soprattutto occorre che gli spettatori, cioè le associazioni dei consumatori, facciano valere i loro diritti partecipando alla programmazione tv. Questa è senz’altro la parte più innovativa del modello inglese”.