Nella carta stampata 371 imprese toscane. Ma i settori si stanno espandendo oltre i confini della ricerca Irpet commissionata dal Corecom. Unioncamere identifica in solo 3 province circa 900 aziende.
Arrivano i primi dati sul sistema editoriale e di comunicazione della Toscana, su case librarie, di giornali e riviste periodiche. In questi comparti la regione è tra le prime in Italia (dati 2001): nel libraio al 5° posto con 272 imprese (la solo provincia di Firenze è al 4° posto nella graduatoria provinciale dopo Milano, Roma e Torino) con 2.642 opere (titoli) stampati in oltre 15 milioni di copie; nella pubblicazioni di giornali in Toscana si registrano 16 imprese e la graduatoria delle province vede Firenze al 31° posto; nell’edizione di riviste e periodici vari sono impegnate 83 aziende toscane con registrate in tribunale 1.188 pubblicazioni e nella classifica nazionale delle singole province Firenze si trova al 2° posto (con 145 periodici) dopo Milano e prima di Roma.
Ma i settori di interesse della comunicazione sono molti di più (editoria, creazione web, pubbliche relazioni, pubblicità, radio-televisione, fotoreporter, produzioni cinematografiche e video ecc..). Basti pensare che Unioncamere nelle prime tre province analizzate da un punto di vista dei settori di interesse a verificato l’esistenza di 954 imprese (142 ad Arezzo, 638 a Firenze e 174 a Pisa). I primi risultati della ricerca Irpet, finanziata dal Corecom, nel quadro del “Libro bianco sull’informazione e la comunicazione in Toscana”, voluto dal Consiglio regionale ed affidato alla V° Commissione, sono stati presentati ieri in una conferenza stampa prima della discussione in aula.
Il lavoro di ricerca, comunque, continuerà nei prossimi mesi. A questo fine il Corecom ha già predisposto una serie di ricerche, che si trovano attualmente in fase di conclusione. L’Irpet ha consegnato la prima stesura completa dell’indagine sull’”Editoria in Toscana”. E’ stata altresì completata la prima fase del lavoro sulla professione giornalistica nella nostra Regione. E infine è in consegna la nuova ‘Guida alla Comunicazione in Toscana’, che costituisce l’aggiornamento di una sorta di albo ragionato degli operatori del settore dei media (le imprese e gli individui che nel settore si dichiarano operatori nei media).
La ricerca Irpet esamina lo stato dell’editoria nella regione, facendo l’elenco delle case editrici librarie e di quelle di giornali, e riportando anche la lista di tutte le pubblicazioni, anche minuscole e temporanee, esistenti in regione. Questo elenco, ovviamente, concerne testate denunciate presso il Tribunale, e delle quali, dunque, andrà poi indagata la sussistenza, la reale esistenza, la durata, gli addetti, e così via. Si tratta di un numero assolutamente impressionante, che testimonia della ricchezza di iniziative nel settore nella Regione.
Di seguito il testo dell'audizione concessa a Nicola Novelli, direttore responsabile di Nove da Firenze, dall'Ufficio di Presidenza della Commissione Cultura nel novembre scorso.
L'audizione sarà allegata al Libro bianco.
Oggi vorrei parlarvi di due problemi che assillano gli operatori della comunicazione on line. Il primo concerne il sistema normativo dell’informazione e il secondo è relativo alle problematiche politiche ed economiche. Entrambi creano oggettive difficoltà allo sviluppo di questo fenomeno, che ha un valore culturale strategico per il nostro futuro. Parto con gli ostacoli normativi.
Non vi racconto niente di nuovo se vi dico che tradizionalmente il sistema normativo italiano, cioè le regole del mondo dell’informazione arrivano sempre in ritardo, nel senso che recepiscono le trasformazioni tecnologiche, prendendo atto dell’assetto che i vari ambiti informativi hanno ormai già assunto da soli.
L’Ordine dei Giornalisti esiste dai primi anni ’60 ed è una realtà che certo dovrebbe regolare l’onorabilità dell’accesso a questa professione, verificare il senso di responsabilità di coloro che fanno informazione in Italia. Tuttavia è un'entità non trova corrispondenza nei sistemi normativi di altri paesi. Mi ricordo -è un aneddoto personale- che quando nel 1989 ottenni l’iscrizione nell’Elenco Pubblicisti dell’Ordine della Toscana, mi trovavo negli Stati Uniti e il giorno in cui avevo appreso la notizia, visitai il Congresso a Washington, grazie ad un conoscente italoamericano che ci lavorava.
Nel corso di questa "visita privata" ebbi modo di entrare in sala stampa dove incontrai alcuni miei "nuovi colleghi", giovani statunitensi ai quali annunciai emozionato che anche io ero diventato giornalista, perché avevo ottenuto l’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti. Loro mi guardarono come dire: “Ma che cos’è? E la libertà d’informazione? Quindi se uno vuole scrivere per esprimere la propria opinione come fa?”. Per carità, con questo non voglio dire che gli operatori on line si contrappongano all’Ordine dei Giornalisti.
Tuttavia registro che nell'Unione Europea c'è ci invita a sciogliere gli ordini professionali, considerando che filtrino l'accesso alla professione. Se poi devo raccontarvi la nostra esperienza personale, l’Ordine dei Giornalisti non ci ostacola, ma certo non posso dire che abbia favorito lo sviluppo nella realtà toscana della nuova informazione on line. Forse per il naturale timore che questo nuovo fenomeno potesse avere effetti secondari negativi dal punto di vista occupazionale, come già era successo negli anni ’70 e negli anni ’80, quando si erano sviluppati la radiofonia locale e le televisioni libere.
Tuttavia la nascita di realtà informative spontanee, perché per la gran parte l'on line è fatto, o di realtà associative, no profit, oppure di imprese allo stato embrionale, individuali o di poche unità imprenditoriali (e forse non hanno nemmeno loro la consapevolezza di essere imprenditori), è stata frenata dal non avere risorse economiche da spendere, capitalizzazioni da investire se non la propria risorsa lavoro. D’altra parte, la grande rivoluzione della rete è proprio che ha azzerato i costi industriali.
Mentre la storia del giornalismo, che è una professione moderna –perché esiste da due o trecento anni, dall’invenzione dei caratteri a stampa mobile di Gutenberg– ha visto lievitare progressivamente il costo editoriale, la capitalizzazione industriale: prima il giornale con redazione e tipografia, poi le radio con la stazione trasmittente, i ponti e ripetitori, infine la televisione, che ha bisogno di studi televisivi, infrastrutture tecnologiche, eccetera, eccetera.
Ad un certo punto, agli inizi degli anni ’90, ecco una macchina, il personal computer, che costa 1.000 euro e che consente di trasmettere via telefono informazioni in mondovisione, in continuo.
Noi, per esempio, diffondiamo gratis decine di notizie al giorno, un archivio a libero accesso con oltre 40.000 notizie, in tutto il mondo. Poi deciderà il lettore se leggere o meno, però il servizio è a sua disposizione, sempre.
Che cosa succede? Che il sistema normativo temo che, in questi anni, abbia fatto da filtro, da freno, allo sviluppo di questo fenomeno culturale.
Perché? Poniamo che alcuni giovani intraprendenti, magari già con esperienze giornalistiche alle spalle e quindi già con un’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti che consente loro una buona consapevolezza degli oneri e degli ordinamenti giuridici ai quali devono attenersi (l’iscrizione in Tribunale con un Direttore responsabile iscritto all’Ordine dei giornalisti, eccetera) -poniamo dico- che questi giovani intraprendenti intendano fondare un giornale on line e siano in grado di scavalcare questo primo gradino "normativo": ecco che con il passare degli anni, dal 1995 ad oggi trovano sempre nuovi gradini e ripidi...
Per esempio, da tre o quattro anni, esiste il Registro degli Operatori della Comunicazione, che dipende dall’Authority della Comunicazione, che impone il pagamento di un'obolo annuale –se posso parlare con franchezza un sistema di autofinanziamento dell’Authority, che così non dipende dai trasferimenti del bilancio statale-. Bene -vi racconto la mia esperienza- sono uno di quei pochi fortunati che ha potuto facilmente informarsi sui complicati adempimenti che avremmo dovuto onorare per iscriverci.
Perché? Per il semplice fatto che ho la fortuna di avere un amico che lavora all’Authority della comunicazione a Napoli e gli ho telefonato. Gli ho chiesto: “Mi dici un po’? Ma io non ho capito nulla di questa normativa, ma come si fa a essere in regola?”. Sono passate alcune settimane, mi ha richiamato e mi ha detto: “Guarda, mi sono rivolto agli amici –è un racconto un po’ confidenziale al microfono e registrato della Commissione, ma insomma…– mi sono rivolto ai miei amici dell’Ufficio che hanno redatto la normativa che istituisce il Registro degli Operatori della Comunicazione e gli ho sottoposto il caso della vostra associazione, che edita il notiziario on line senza fini di lucro, senza pubblicità e con accesso gratuito, e mi hanno risposto che non riescono ad inquadrare in quale categoria della normativa inserirvi e quindi consigliano di lasciare perdere, di non fare nulla”.
E così siamo andati avanti sereni, come poi credo abbiano fatto anche tutti gli altri: nessun piccolo quotidiano on line si è iscritto al Registro degli Operatori, anche per le malferme risorse economiche.
La sostanza qual è? È che si creano barriere all’accesso al mercato, che è poi la piazza telematica, rispetto alle quali, o si adempie alla normativa con gravi difficoltà, che potrebbero anche indurre qualcuno a rinunciare, oppure non si adempie e si continua ad operare sub judice, come spesso accade nella realtà italiana, con una spada di Damocle pendente, per cui non si è autorizzati e si è sempre soggetti al ricatto, un domani, di un’autorità sovrastante che ci può sanzionare.
Un paio di anni fa ho parlato di “regime borbonico” ad un convegno organizzato a Firenze dall’Unione dei Cronisti Sportivi, presente il Presidente dell’Ordine della Lombardia, Franco Abruzzo, che molto simpaticamente se ne adontò, ribattendo: “Non offenda il sistema normativo borbonico”. E' una persona di grande ironia, Abruzzo.
Insomma abbiamo di fronte molti ostacoli oggettivi, non ultima la normativa –che poi non è entrata integralemente in vigore– secondo la quale tutti coloro che pubblicano informazioni on line, avrebbero dovuto depositare annualmente presso le sedi della Biblioteca Nazionale Centrale una copia in stampa di tutto ciò che hanno realizzato on line.
Ora, pensate un po’ al paradosso per un’associazione culturale senza fini di lucro, che ha 40.000 notizie permanenetemente in rete, oltre ai dossier informativi, eccetera, di dover stampare su carta ciò che è normalmente accessibile per tutti, in tutto il mondo, da Internet. Naturalmente la maggiore opposizione, rispetto a questa normativa l’han fatta i Direttori delle sedi della Biblioteca Nazionale, perché mi spiegate come si fa ad archiviare tutto questo materiale cartaceo? E poi a che fine? Cioè anche la pagina web delle foto delle vacanze aggioranta annualmente da un privato cittadino?
Tutto questo per dire che crediamo nel valore della spontaneità della comunicazione on line, anche se si tratta di informazione.
Un valore che dovrebbe essere salvaguardato con attenzione. On line il confine tra comunicazione e informazione è sottile. E se ne aveste modo, sarebbe interessante incontrare altri operatori del web toscano, per approfondire questo concetto che meriterebbe, probabilmente, di essere ridefinito in maniera radicale. Intendo significare che Internet mette in discussione il concetto stesso di professione giornalistica, che finirà per "sciogliersi" e distribuirsi sulla collettività. Questo è un aspetto che i professionisti della comunicazione hanno ben presente e del quale discutono da anni: i lettori e gli utenti, forse, meno.
Sono in molti, anche qui in Toscana, coloro, spesso oltre la loro consapevolezza personale, che fanno informazione di fatto. Per esempio, conosco un signore fiorentino, che è il presidente di un’associazione che si occupa dei cantieri dall’Alta velocità ferroviaria, che fa informazione con un apposito sito internet. Questo signore non lo sa –è un mio amico e ne abbiamo parlato insieme– però fa informazione giornalistica, perché i comunicati stampa che diffonde servono ai membri delle istituzioni politiche locali per informarsi e alimentano le pagine i notiziari giornalistici, con una quota di notizie significativa rispetto al patrimonio informativo che arriva ai lettori finali.
Non so se questo signore debba essere chiamato giornalista. Lui non si interessa di questo aspetto: certo è un "informatore" della società toscana. Decideremo in futuro che ruolo attribuirgli, che termine affibbiargli: all'estero qualcuno usa il concetto di Infomediario (mediatore di informazioni).
E non è l'unico. Nelle settimane scorse ho scoperto un poco pubblicizzato sito realizzato da un cittadino che ci aggiorna sullo stato d’avanzamento dei progetti dei lavori per la realizzazione delle tramvie a Firenze: svolge di fatto un servizio pubblico, perché se andiamo a vedere i siti istituzionali dell’ATAF, o del Comune di Firenze, non sono così aggiornati.
Da questo punto di vista se riuscisse a trovare anche una forma di coordinamento con le istituzioni, si offrirebbe un più efficiente servizio informativo, un’occasione di dibattito, un arricchimento culturale e politico per tutti. Se non siamo riusciti ancora a coordinarci è anche colpa degli operatori, che magari hanno incominciato per scherzo, ma devo dire che in molti sta maturando una maggiore consapevolezza e io -oggi non ne abbiamo il tempo- vorrei farvi pervenire un elenco di persone che avrebbero piacere di entrare in contatto con la Commissione per raccontare la propria esperienza.
L’occasione del convegno sull'informazione on line in Toscana, che vogliamo realizzare nel corso della prossima primavera, potrebbe essere un importante confronto pubblico fra le istituzioni locali e gli operatori della comunicazione on line.
Il sistema normativo attuale può dunque costituire un serio ostacolo alla nascita di nuove iniziative editoriali on line: riferendomi in gran parte al sistema normativo di fonte nazionale, mi rendo conto che il Consiglio Regionale non può fare molto: comunque è necessaria, a nostro parere, una crescita di consapevolezza della centralità strategica di internet per la cultura toscana anche a livello politico.
Non è possibile continuare a essere neutrali rispetto a questo fenomeno. Non facilitare lo sviluppo di nuove realtà vuol dire portare nocumento alla colletività intera. Le testate on line si trovano a competere in un mercato della cultura e della comunicazione mondiale. Potrebbe accadere –fra 5, o 10 anni- di ritrovarci "colonizzati culturalmente", perché la rete non ha confini. E se un domani una realtà economica industriale mette piede in Toscana con tutto il proprio peso e realizza un contenitore informativo che monopolizza i lettori –perché gli utenti di internet, ahimè, dopo vent’anni di televisione in Italia, in dosi massicce “da cavallo”, ore e ore al giorno pro capite, sono abbastanza passivi– non ci mette nulla, una potente multinazionale, a monopolizzare il bacino d’utenza e ad estinguere le risorse di tutti gli altri.
Perché? Perché le risorse economiche sono modestissime. Tra l'altro siamo sfortunati: nasciamo in un’epoca, almeno dal 2000 in poi, di crisi economica e in cui le risorse sono esigue: in un mercato pubblicitario che tradizionalmente avversa la proliferazione delle fonti di informazione. Questo è un dato di fatto, storico, caratteristico del mondo dell’informazione e non scopro nulla a ribadirlo. È la pubblicità che vuole che le fonti d’informazione siano poche, per un fatto di praticità operativa.
Un investitore ha bisogno che le fonti di informazione siano in minor numero possibile, perché se si devono stipulare contratti di acquisto degli spot e degli spazi pubblicitari su giornali, radio e TV, meno interlocutori ci sono, maggiori garanzie abbiamo di raggiungere il pubblico. Interagire con un minor numero di medium è meglio, perché semplifica le relazioni commerciali degli inserzionisti: è il mercato che favorisce l’oligomerizzazione della realtà informativa.
Rispetto a questo fenomeno, che è storico, tradizionale, nell’informazione, ma che è dirompente nel mondo di Internet, dove l’accesso all’informazione è di tutti e per tutti, le istituzioni possono essere fondamentali, in un ruolo di mediazione e salvaguardia contemporaneamente della concorrenza e della libertà di espressione, che è mancato sino ad oggi.
Se posso essere sincero, trovo che la funzione svolta dagli Enti Locali fino ad oggi sia stata abbastanza neutrale: nei fatti una neutralità belligerante, perché se, come mi sono sentito dire qualche volta “noi non possiamo prendere le parti di qualcuno a svantaggio di qualcun altro” e quel “qualcuno” è La Nazione, o La Repubblica dell’editoriale l’Espresso, o il Gruppo Mondadori, Giornale ecc., e “qualcun altro” è una realtà sperimentale come Nove da Firenze, associazione culturale senza fini di lucro, io dico che questa neutralità è belligerante, perché fa il gioco di chi ha le maggiori risorse economiche.
Per carità, non è nostra intenzione contrapporci ad un fenomeno editoriale industriale, né voler essere mosca cocchiera dell’informazione italiana, però attenzione: gli enti locali hanno già messo i piedi nella rete, hanno funzioni tecnologiche istituzionali, cioè reggono tecnologicamente i nodi della rete e hanno i propri siti internet, che sono diventati, in questi anni, tra le realtà più importanti dell’informazione.
Quindi, due aspetti. Uno soggettivo: le reti civiche hanno una funzione informativa rispetto alla quale deve maturare la consapevolezza di svolgere un ruolo sociale, culturale e politico.
La Legge di Riforma degli Enti Locali, la Bassanini, istituisce l’obbligo di avere un responsabile della comunicazione che sia iscritto all'Ordine dei Giornalisti, ma questo non basta. Ora, forse invado un ambito che non mi è proprio. Ma mi permetto però qualche appunto sulla gestione delle reti civiche, che sono fra i siti più consultati, ogni giorno, in Italia. Quali sono le modalità gestionali della rete civica? Sarebbe opportuno, non so in quale forma –una normativa nazionale, una normativa regionale, oppure di un accordo in ambito ANCI?– che le reti civiche venissero gestite in una maniera omogenea.
Non è possibile che in alcune realtà comunali, la rete civica ospiti un dibattito politico aperto ad ogni parte sociale e ad ogni realtà politica, mentre in altre realtà l’accesso alla rete civica è consentito solo ai Gruppi Consiliari, per altre reti civiche è limitato alla maggioranza, e ancora in altre è circoscritto alla sola Giunta. In alcune reti civiche ci sono tante voci; in altre, magari più piccole, è rappresentata solo la voce del Sindaco. Forse è una questione che preoccupa poco, perché l’omogeneità politica delle istituzioni toscane è una tradizione consolidata, però nessuno garantisce che un domani possa essere sovvertita.
E in assenza di principi definiti per la comunicazione istituzionale on line, poi non potremo lamentarci e prendercela con gli altri se la rete civica viene usata e abusata a fini privati. Io vi inviterei a riflettere sul concetto stesso: che cosa vuol dire “rete civica”? Che è dell’Ente? Dell’Amministrazione? Non si chiamerebbe così. Difatti il sito internet del Consiglio Regionale, non si chiama "civico”, ma “sito istituzionale del Consiglio Regionale”: è molto corretto dal punto di vista terminologico.
Se invece il sito è “civico” vuol dire che è dei cittadini, ed allora non c’è solo la questione maggioranza-opposizione: l'accesso deve essere garantito a tutti i cittadini. Per intendersi, se la rete civica è un grande contenitore d’informazione, perché le realtà associative specializzate sul tema della informazione e della comunicazione non hanno uno spazio di rilevanza, in evidenza, in modo da offrire ai cittadini un canale per fare riflessione e dibattito, regolato secondo norme apporpriate? D’altra parte i nostri notiziari sono iscritti in Tribunale, hanno direttori responsabili che pagherebbero le conseguenze, legali e penali, se abusassero di questo diritto informativo.
Perché dunque non è possibile? Da alcuni anni proviamo a suscitare la questione, come associazione.
Perché i cittadini non riescono ad accedere liberamente alla rete civica? Perché la rete civica di Firenze non crea uno spazio dedicato in evidenza all'informazione locale, fertilizzante del tessuto politico e sociale? Di chi è la rete civica? È di chi vince le elezioni? Ci accontentiamo di questo? Oppure ci deve essere, un codice d’onore della rete, un modus operandi che valga per tutte le istituzioni e che regoli questo accesso?
Entriamo cioè nell'ambito della cultura politica, della sensibilità del proprio ruolo istituzionale, della coscienza dell'uso della tecnologia informativa.
Può anche darsi che sia un problema di gap generazionale, cioè di età media dei membri delle istituzioni in relazione alla loro conoscenza personale delle funzioni e del ruolo in rete, del grado di consapevolezza delle potenzialità per il bene della nostra comunità. Certo è un problema che va affrontato, perché stiamo parlando del concetto stesso di partecipazione democratica.
Faccio un esempio per chiarire. Da alcuni anni presentiamo, ogni qual volta ne abbiamo l'occasione, al Comune di Firenze un progetto che non abbiamo inventato noi: ci rifacciamo ad esempi consolidati che esistono in altri paesi.
In questa città c’è una rete di telecamere che filmano in continuo il flusso automobilistico, oppure in certe aree particolari della città sono state piazzate telecamere anche per ragioni di sicurezza. Queste telecamere hanno suscitato qualche dubbio circa la tutela della riservatezza dei cittadini, perché trasmettono le immagini delle strade fiorentine, pur nel rispetto della normativa sulla privacy, in Prefettura, al Comune di Firenze, alla Centrale Operativa dei Vigili Urbani, che lì rimangono.
Riferendomi in particolare alle telecamere le cui immagini arrivano alla regia di Palazzo Guadagni, penso che queste immagini video-lento potrebbero essere molto utili alla comunità. Perché in altre realtà, penso per esempio alla città di Seattle, la capitale dello Stato di Washington (negli Stati Uniti), immagini in continuo del flusso automobilistico in città, dal ’97-’98, sono in rete, con un investimento che non so esattamente quantificare –e varrebbe la pena di indagare– per consentire, ai cittadini di Seattle di vedere, quando stanno per uscire dall’ufficio, o da casa propria, se è opportuno entrare con la propria automobile nel traffico cittadino oppure se, siccome è un’ora di punta e quel tratto che si deve percorrere è ingorgato, restare a lavorare, o restare a casa, non consumare carburante, lavorare di più ed uscire dopo un quarto d’ora, e trovare la strada sgombra.
Mi sembra di una tale ovvietà: è talmente facile mettersi in rete, collegarsi con il sito della Municipalità di Seattle, e vedere come fanno gli altri da almeno 5 anni. Forse ci sarà un problema tecnico, per cui costa troppo realizzare questa cosa, però il fatto che il Comune di Firenze non si sia mai preso la briga di verificarlo, mi fa venire il dubbio che il problema non sia tecnologico, non sia economico, ma che concerna la cultura tecnologica dei nostri amministratori.
E’ ben inteso che io oggi non riesco a dire tutto, ma non perché… è molto il tempo che mi ha concesso, ma è semplicemente, perché le cose da dire, magari che ribollono nella nostra coscienza da anni, sono infinite e magari non mi vengono nemmeno in mente e poi tante altre ne avrebbero da dire gli amici e i colleghi.
E veniamo all'aspetto "relazionale". L’accanimento con la rete civica del Comune di Firenze lo sa perché ce l’abbiamo? Perché io temo addirittura che ci sia stata un’involuzione in questi anni. C’erano persone, che hanno operato all’inizio per lo sviluppo della rete che avevano centrato alcuni principi, alcuni punti di sviluppo della rete civica, in una dimensione anche di partecipazione. Ricordo che all’inizio, per esempio, c’era uno spazio per il dibattito nella rete civica, anche se non era molto sviluppato, ma anticipava i tempi.
C’era uno spazio di accesso diretto, che metteva in rapporto i cittadini con gli Assessorati e che, attraverso un form, consentiva di immettere una domanda che doveva trovare una risposta da parte dell’Istituzione. Per carità, l’indirizzo di posta elettronica degli Assessorati è accessibile anche oggi, però prima era più facile mettersi in contatto. Questo creava forse problemi organizzativi, perché si doveva, entro un tempo ragionevole, dare una risposta ai quesiti, che evidentemente erano tanti: risultato? La rubrica è sparita.
Alla stessa maniera per cui siamo usciti da un giorno all’altro da una pagina che, intitolata "Siti di interesse collettivo". In questa pagina –vi racconto un aneddoto personale– erano state inserite alcune realtà informative spontanee, per esempio Nove da Firenze, AltraCittà –il mensile delle periferie- (il cui direttore, Cristiano Lucchi, oggi non può essere presente), e c’era anche la versione on line dell’emittente radiofonica Controradio. Un giorno -io vi racconto una storia che mi è stata riferita, prendetela così– un Consigliere comunale della precedente legislatura, va dall’Assessore competente per la rete civica e gli dice: “caro Assessore, ho creato un nuovo notiziario: vorrei avere anch'io accesso alla pagina “Siti d’interesse collettivo”.
L’Assessore competente, che è di parte politicamente avversa, ci pensa qualche giorno: “Porca miseria, adesso entra anche questo: ora tutti possono leggere le loro critiche… come si fa!”. Soluzione? Ci toglie tutti dalla pagina d’interesse collettivo. Per carità, per iniziativa di una, come vogliamo chiamarla, lobby di Consiglieri comunali, amici, dai e ridai, negli anni siamo riusciti a rientrare e adesso, nel nuovo sito dell’Ufficio Stampa del Comune di Firenze c’è un elenco di strumenti informativi, in cui ci sono testate giornalistiche, cartacee, agenzie di stampa, e ci sono anche i siti Internet, le radio, le televisioni.
E questo ci fa piacere, non per gli accessi dei lettori che ci porta, ma per il lustro che ha da avere anche questa forma di riconoscimento istituzionale.
Però mi sembra che sia tutto un po’ lasciato al caso –ecco, volevo trasmettervi questa sensazione con questi aneddoti– e c’è sempre l’inquietudine poi che arrivi un nuovo Assessore, e “pom” e ci faccia sparire di nuovo.
Per quanto riguarda il Portale Toscano due aspetti.
Questa audizione per me è una grande occasione per lanciare un appello ed un invito alle istituzioni.
Mi rendo conto della difficoltà del lavoro che sovrasta le spalle dei singoli esponenti, membri, delle Istituzioni; i Presidenti di Commissione, gli Assessori, i membri delle Assemblee Consiliari. So e non vi invidio. Tuttavia limitarsi ad avere interlocutori istituzionali, o limitarsi ad interloquire con grandi realtà economiche, non soddisfa il dovere istituzionale d’interagire con la società toscana: organizzare ad esempio la Festa Internet di concerto con la Cassa di Risparmio di Firenze, Dadanet, Consulting e non so, l’IBM, o la Microsoft, fa sì, che la manifestazione, che dura una settimana e che si svolge in Piazza della Signoria anziché alla Stazione Leopolda, sia una bella manifestazione.
È corredata di concerti, è gratuita, per l’Ente nel senso che è sponsorizzata –così è tutto più facile–. Però questo non significa rappresentare la realtà di Internet in Toscana.
Se volete la mia opinione personale, di cui mi assumo la responsabilità –d’altra parte da anni sono in contatto con realtà sperimentali on line, come provider, designer, web master, content manager, realizzatori di siti commerciali– la voce che ho raccolto dagli interlocutori che ho trovato in questi anni, con i quali mi è capitato casualmente –perché non è che sia un tema particolarmente dibattuto, quello del portale della Regione– l’espressione sintetica che ho raccolto, è stata: “Accidenti quanto costa!” – e da parte di certi operatori che svolgono quest’attività professionalmente: “Accidenti che bando, non è facile parteciparvi!”.
Io credo che si dovrebbe stare molto attenti ai contenuti, come dice Lei, Presidente; ai contenuti, più che alla forma. A che cosa servirà la rete? Con questo non voglio criticare i siti Internet sviluppati dalla Regione Toscana, perché siamo una realtà comunque di prim’ordine rispetto a tanti disastri italiani, però in rete è facile trovare esempi, modelli -basta navigare- in un motore di ricerca qualunque, “reti civiche”, “siti Internet istituzionali” o cambiare lingua in web sites of public institutions– o in francese, in tedesco– ed ecco cosa fanno gli alti.
Non c’è bisogno di fare viaggi all'estero; insomma, si fa comodamente nel proprio Ufficio dell’Assessorato.