di Nicola Perini, capogruppo della Margherita nel Consiglio comunale di Firenze
La responsabilità di chi è delegato a rappresentare una collettività richiama l’esigenza di stabilire un rapporto continuo con i cittadini. Il vincolo di mandato diventa virtuoso nel momento in cui l’eletto sa di interpretare i bisogni di chi lo ha eletto.
In ogni stagione la politica cerca nuove strade per colmare la distanza che la separa dai cittadini. Oggi la parola magica è “partecipazione”.
Le istituzioni, ai vari livelli, si dotano di strumenti che possano favorire la discussione aperta. Alcune forze politiche fanno di questo obiettivo un cavallo di battaglia. Ma certi sforzi rischiano di restare vani se non si focalizzano i paradossi del rapporto tra la base e il “palazzo” e se non si individuano forme realistiche di condivisione dell’azione politica in grado di invertire la tendenza alla divaricazione.
E’ innegabile che diversi settori della comunità esprimono l’esigenza di essere chiamati in causa sulle decisioni che li riguardano più o meno direttamente.
E’ altrettanto innegabile, però, che – quando si offrono occasioni di discussione – si verifica un diffuso disinteresse.
Riflettendo su questo tema, dobbiamo aprire un capitolo sui partiti, che per definizione costituiscono le formazioni intermedie tra la collettività e i luoghi della rappresentanza. Oggi i partiti vivono una crisi che ha molti sintomi: non esiste più la “militanza” in senso tradizionale; al posto dei partiti di massa abbiamo partiti di opinione; si è persa la dimensione territoriale, il radicamento; le tattiche e gli slogan prevalgono sui contenuti e sul dialogo.
Ma soprattutto i partiti non riescono più a mediare tra la comunità e le istituzioni, anche perché non trovano formule diverse da quelle tradizionali che sono legate a vecchie abitudini superate.
Da una parte ci troviamo di fronte a una comunità complessa, avvelenata da un individualismo indotto dalla cultura degli anni ‘80 e da un nuovo laicismo manifestatosi negli anni ’90. Dall’altra, la classe politica – in questo caso, sì, specchio della società – è essa stessa affetta da queste patologie.
L’individualismo determina in generale una perdita di senso di appartenenza oppure finisce per radicalizzare l’appartenenza a piccoli gruppi di interesse. Il laicismo determina un senso di sfiducia nei confronti dei decisori da parte di chi è escluso dal processo progettuale e di decisione.
Chi si avvantaggia di questa situazione caotica? Quei poteri che sono capaci di organizzarsi in gruppi di pressione e che ostacolano le forme di partecipazione pur di vedere aumentata l’efficacia della propria azione di lobbying.
Dal momento che le forze politiche non sono ancora riuscite a trovare formule nuove, il desiderio di partecipazione attiva tende ad incanalarsi in formule movimentistiche, in larga parte di natura anti-partitica.
A Firenze ne abbiamo avuto un chiaro esempio di recente. Certi movimenti, ponendosi in conflittualità con le forme organizzate di rappresentanza, rischiano di aggravare la frattura tra politica e società.
La nostra risposta deve essere di segno opposto: una ricerca ostinata di nuove forme di partecipazione dei cittadini alle scelte amministrative sempre nell’ambito del confronto con le istituzioni. Senza dimenticare che la responsabilità delle scelte ricade su chi è chiamato a decidere e che l’assemblearismo a tutti i costi sfocia quasi sempre nel nulla di fatto, nella conservazione dell’esistente, nell’”indecisionismo”.
Da parte delle istituzioni non è rinviabile la costruzione di un nuovo rapporto virtuoso con la comunità, basato su un assunto: se vogliamo dare risposta ai tanti problemi che abbiamo di fronte c’è bisogno di nuovi stili di vita da parte di tutti.
Per questo vi è bisogno di un nuovo rapporto costruito sulla fiducia, sul rispetto dei ruoli in un clima di responsabilità ritrovata.
Se non vogliamo che la partecipazione non sia solo un fatto formale ma divenga sostanziale, credo che si debba avviare un percorso articolato in due parti:
I partiti devono attivare delle antenne territoriali che siano strumenti di prima sintesi tra gli interessi in campo.
Le istituzioni in una prima fase devono proporre alla comunità le analisi e le proposte che sono il risultato della sintesi; in una seconda fase devono socializzare il percorso scelto per dare attuazione concreta alle scelte politiche.
Senza mai abdicare alla responsabilità della decisione finale, ma tenendo sempre aperto il dialogo con i cittadini per valutare le ricadute dell’azione di governo.