All’alba di un giorno d’aprile del 1945, due ragazze escono da un rifugio antiaereo per tornare a casa. Sono due sorelle. Parlano del ritorno di un loro fratello. Hanno freddo, hanno fame. Lavorano in fabbrica. Una volta arrivate nella casa, sentono delle urla venire da fuori ed entrano in disaccordo sul da farsi: una vorrebbe uscire e andare a vedere, l’altra è più prudente e convince la sorella a restare dentro. Solo dopo realizzano che il fratello, appena rientrato dal fronte, è stato impiccato.
Così inizia Antigone di Sofocle, il bellissimo adattamento drammaturgico della tragedia sofoclea realizzato, a partire dalla traduzione che Friedrich Hölderlin aveva ultimato nel 1804, da Bertolt Brecht nel 1948, di ritorno dall'esilio statunitense. La libertà che Brecht si prende rispetto al modello classico è senza limiti: la sacralità che investe l'eloquio dei personaggi nell'originale (e nella traduzione di Hölderlin) viene spogliata dalla presenza di qualsiasi numen e laicizzata secondo i canoni dialettici di una poetica straniante.
Creonte diviene un "signore della guerra"; Antigone un’eroina ribelle che agisce in nome della pace e di una legge più importante di quella degli uomini; Tiresia non è più il cieco veggente bensì diviene un “osservatore” acuto e attento dei fatti e dei conflitti del potere.
A Brecht interessava porre l’accento sul carattere distruttivo della guerra (spirito di rapina che si traveste da amor patrio) e attualizzare il mito, trasponendo la vicenda in epoca nazista.
Così facendo, puntava a un teatro che riacquistasse la sua antica centralità (come era nella Atene del V secolo): luogo dove vengono poste le domande e dove si cercano, nell'unità dialettica tra attore e pubblico, le risposte.
Federico Tiezzi ambienta questa “riscrittura” in un ospedale-obitorio, che assomiglia un poco a una macelleria… E’ qui che due donne, Antigone e Ismene, vengono per trafugare il corpo del fratello appena arrivato dal fronte, portarlo via e seppellirlo.
I letti sono occupati da cadaveri... c’è una guerra, non importa quale, una di quelle a cui ci ha abituato la storia e la cronaca dell’oggi. Ma i corpi dei cadaveri prendono vita: il coro sarà composto da questi morti da poco risorti, tornati in vita giusto per obbedire a Creonte, macellaio metafisico e politico angosciato che, sospeso a mezz'aria sul suo trono, domina sui morti e sui vivi...
La Grecia classica abita in un obitorio-macello, simbolo di un sogno umanistico ormai definitivamente distrutto...
Ed è nel gelo artico di una scena illuminata al neon, che si racconta non solo il sacrificio di Antigone ma anche il sacrificio della Grecia, della grande cultura romantica tedesca che aveva riconquistato all’Europa i valori del mito antico… tutto travolto dalla barbarie nazista. La quale, insegna Brecht, e sottolinea Tiezzi, non è un fatto archiviato e consegnato alla storia, ma una pericolosa tentazione sempre pronta a confondere uomini e paesi, a inquinare culture e anime.