Alla Pergola il teatro civile di Ruggero Cappuccio
Dal 2 al 10 novembre Massimo De Francovich in Paolo Borsellino essendo stato

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
28 ottobre 2004 18:52
Alla Pergola il teatro civile di Ruggero Cappuccio<BR>Dal 2 al 10 novembre Massimo De Francovich in <I>Paolo Borsellino essendo stato</I>

Diciannove luglio 1992: ale ore sedici e cinquantotto in via D’Amelio, a Palermo, un attentato pone fine alle vite del giudice e degli uomini che lo stavano proteggendo: Vincenzo Li Muli, Walter Cusina, Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi.

Ruggero Cappuccio compie un viaggio nell’ultimo decimo di secondo tra l’esplosione e la morte di Paolo Borsellino. E’ Massimo De Francovich a ricomporre memorie e sogni della vita del giudice che scorrono nell’istante. Parla, racconta.

Dubita di essere ancora vivo. Dubita di essere già morto. La messinscena deflagra in dodici movimenti, quanti sono quelli di uno Stabat Mater, addensando frasi, sussurri, visioni.

"Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla, perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non piace per poterlo cambiare".

Con questa breve riflessione Paolo Borsellino svela il senso più segreto del suo essere uomo e del suo essere giudice. La sua giovinezza e gli anni difficili della sua maturità sono ispirati ad una tensione vitale che oscilla tra passione per la memoria e progetto instancabile per una costruttività del futuro.

La sua singolare esperienza esistenziale porta con sé i tratti inequivocabili dell’eroe.

Un eroe moderno. Un eroe lontano dalle tentazioni della retorica. Un eroe che si batte senza armi contro le armi; senza violenza contro la violenza; senza protervia contro omicidi, stragi, tradimenti. Forte unicamente della sua spiazzante lealtà intellettuale, di un intuito espresso a livelli altissimi, Paolo Borsellino è l’incarnazione di eroe psicologico in grado di sacrificare il proprio corpo e i propri affetti per un’idea: la giustizia.

Questo profilo di un artefice umano che costruisce il proprio coraggio per donarlo agli altri ha affascinato i grandi tragici dell’antichità, le letterature di tutti i tempi e di tutto il mondo.

Le esistenze di Borsellino e Falcone hanno operato un mutamento insolito. Per molti giorni, per mesi, per una tenace minoranza tutt’oggi, gli italiani hanno assistito e partecipato con entusiasmo e dolore ad una vera e propria reincarnazione di ideali ispirati alla giustizia che deviazioni politiche e mafiose avevano tacitato sotto la polvere di una pretesa retorica. Lo Stato, l’appartenenza dei cittadini ad esso, l’equità, il coraggio, sono passati dallo stadio vuoto delle "parole" a quello limpido e inarrendevole dei "fatti".

I cinquantasette giorni in cui Paolo Borsellino vive dopo la morte di Giovanni Falcone, fanno del giudice sopravvissuto un uomo solo, accerchiato da elementi deviati dello Stato e della politica, da Cosa Nostra e dall’indifferenza collettiva come prodotto culturale raffinatissimo atto a seppellire la verità.

Senza Falcone, senza l’uomo che Borsellino stesso definiva "il suo scudo", il magistrato elabora la certezza matematica della propria fine.

A più riprese disegna come imminente la propria morte a colleghi ed amici con allusiva eleganza.

Malgrado ciò rimane. Rimane in Sicilia, rimane a Palermo, rimane fedele a un’idea, a Falcone, a sé stesso. A condividere la sua coscienza della fine è innanzi tutto il mondo femminile, composto da sua madre, sua moglie, sua sorella, le sue figlie, oltre naturalmente a suo figlio Manfredi. Questa partecipazione silenziosa al destino di chi combatte in una sfida con un finale già scritto, torna a parlarci di una consapevolezza tutta classica in cui alla dignità dell’eroe fa riscontro la dignità di chi dovrà piangerlo e continuarlo ad amare nell’assenza del corpo.

La messinscena di Ruggero Cappuccio allinea accanto a Borsellino le figure di cinque donne, Antigoni, memorie di un’infanzia perduta intesa come età della perfezione, della bellezza.

Il femminile distilla un’idea calda e solare della terra, in una parola della Sicilia stessa.

Il lavoro si sviluppa in un concentrato di suoni e immagini tese ad esaltare il contrasto tra la spudorata bellezza dell’isola e i suoi umori notturni. L’ironia si rivela come una qualità in grado di percorrere il dramma per svelarlo con più forza e più direzionalità in tutta la sua crudezza.
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Giovedì 4 novembre 2004, ore 17.00, Incontro con Ruggero Cappuccio e Massimo De Francovich.

Un’occasione per continuare a riflettere su un eroe del nostro tempo e sul percorso che porta Cappuccio ad identificare in Borsellino quell’eroe, a rinnovare una memoria ed un impegno civile a cui la scena non si sottrae. Partner nella costruzione di questo approfondimento l’Associazione culturale INPUT che ha come scopo ripartire dai contenuti, con l’obiettivo di scavare dentro ai fatti, con l’aiuto di esperti e protagonisti. Proporre degli "input" che possano essere recepiti da chi ha ruoli di responsabilità nella società, ma anche da tutti coloro che intendono svolgere un ruolo di cittadinanza attiva e consapevole.

In questa cornice ben si iscrive l’eredità del dovere della conservazione attiva della memoria delle vittime della mafia. Perchè se "A Palermo le esplosioni e le parole hanno come fine assoluto solo il silenzio" dovere è sopravvivere al silenzio e continuare ad interrogarsi.

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